Il regista russo Oleg Stepčenko ha dato vita a una pellicola che ha saputo combinare elementi del folklore slavo con l’attrattiva di un fantasy dallo stile gotico, creando così un’opera cinematografica unica: Vij – La maschera del demonio. Il film, liberamente ispirato all’omonimo racconto di Nikolaj Vasil’evič Gogol’ e remake dell’omonimo Vij del 1967, offre una rilettura contemporanea e personale di una delle leggende più oscure e affascinanti della letteratura ucraina.
L’opera di Gogol, pubblicata per la prima volta nel 1835, racconta la storia di Khoma Brut, uno studente di filosofia che si trova a dover vegliare il corpo di una giovane donna morta, la quale, come scoprirà presto, è in realtà una strega che ha il potere di evocare il terribile Viy, una creatura demoniaca dalle sembianze mostruose. Il racconto di Gogol, impregnato di atmosfere cupe e misteriose, è una riflessione sulle paure primordiali dell’umanità, sulle superstizioni e sull’eterna lotta tra il bene e il male.
Stepčenko, partendo da questa base, crea un film che riesce a mescolare sapientemente il fantastico con una forte dose di autoironia. Vij – La maschera del demonio narra le vicende di Jonathan Green, un cartografo britannico del XVIII secolo, interpretato da Jason Fleming. Green, dopo essere stato costretto ad abbandonare la sua fidanzata incinta a causa dell’ostilità del padre di lei, si mette in viaggio attraverso l’Europa dell’Est, spinto dalla sua missione di mappare territori inesplorati. Il suo cammino lo conduce in un villaggio sperduto nei Carpazi, un luogo immerso in un’atmosfera di paura e superstizione, dove gli abitanti vivono nel terrore di oscure entità demoniache.
Il film si sviluppa su una trama che, pur avvicinandosi per certi versi ai canoni del fantasy, non rinuncia mai a confrontarsi con temi più profondi. Il contrasto tra la razionalità di Jonathan Green, figlio del Secolo dei Lumi, e la superstizione dei paesani crea un dinamismo narrativo che spinge lo spettatore a interrogarsi sulla natura del male, sulla sua origine e sulla sua manifestazione. Stepčenko, infatti, sfrutta la figura di Green come simbolo di un’umanità che tenta di spiegare l’inspiegabile attraverso la scienza, senza però riuscire a liberarsi del tutto delle ombre che il folklore e le leggende continuano a gettare sul cammino degli uomini.
Dal punto di vista estetico, Vij – La maschera del demonio è un vero spettacolo per gli occhi. Le scenografie e le inquadrature ricordano le opere della pittura preraffaellita, con i loro colori intensi e la loro attenzione al dettaglio. Il villaggio dei Carpazi, dove si svolge gran parte della storia, è reso con una tale maestria da sembrare uscito direttamente dalle pagine di un’antica fiaba mitteleuropea. Gli effetti speciali, utilizzati con intelligenza e misura, contribuiscono a creare un’atmosfera carica di tensione, dove il confine tra realtà e fantasia si fa sempre più labile.
Interessante è anche l’approccio che il film adotta nei confronti della religione. Se da un lato la chiesa viene rappresentata come un’istituzione capace di sfruttare la credulità popolare, dall’altro le figure del clero appaiono spesso impotenti di fronte alle manifestazioni del male. È la superstizione a dominare il villaggio, e i riti religiosi, anziché portare conforto, sembrano alimentare il terrore collettivo. Questo dualismo tra religione e superstizione è uno dei temi centrali del film, che offre una visione critica della religiosità popolare, vista come un residuo dei “secoli bui”, incapace di affrontare le sfide poste dalla modernità.
Il ritmo del film riesce a mantenere alta la tensione, alternando sequenze di azione a momenti più riflessivi, in un equilibrio che rende la visione coinvolgente fino all’ultimo. Le scene ambientate nel villaggio, cupe e minacciose, si contrappongono ai momenti di leggerezza che Green vive nel suo scambio epistolare con la fidanzata rimasta in Inghilterra, creando un’alternanza di toni che arricchisce la narrazione.
Il finale del film, seppur apparentemente risolutivo, lascia spazio a ulteriori riflessioni. Il trionfo della ragione, incarnato da Jonathan Green, non è infatti privo di ambiguità. Un piccolo spirito, insinuatosi nella borsa del cartografo, sembra suggerire che il mondo della superstizione non è stato del tutto sconfitto, ma continua a sopravvivere, in attesa di tempi più propizi. È forse un’allusione all’avvento del Romanticismo, con la sua riscoperta delle tradizioni popolari e delle leggende, o forse un semplice presagio di un possibile sequel.
Vij – La maschera del demonio è un film che, pur non essendo conosciuto come altri blockbuster occidentali, merita attenzione per la sua capacità di fondere la tradizione letteraria con il cinema moderno, offrendo uno spettacolo visivamente affascinante e intellettualmente stimolante. È un’opera che, nel suo dialogo tra passato e presente, tra ragione e superstizione, riesce a catturare l’immaginazione dello spettatore, lasciando aperta la porta a molteplici interpretazioni e riflessioni.