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Velvet Buzzsaw: L’arte che uccide – Recensione del film horror-satirico di Dan Gilroy

Nel cuore pulsante del mondo dell’arte, dove le apparenze sono spesso più importanti della sostanza, Velvet Buzzsaw emerge come un’opera che esplora le insidie della bellezza, ma con un taglio ben più oscuro di quanto ci si aspetterebbe da un thriller del genere. Diretto e scritto da Dan Gilroy (già autore di Nightcrawler), il film mescola l’arte contemporanea con una dose massiccia di horror soprannaturale, dando vita a una narrazione che non manca di provocare e sorprendere.

Il contesto artistico e il thriller soprannaturale: il fulcro del film

Iniziamo con un presupposto: Velvet Buzzsaw non è un film sull’arte, almeno non nel senso tradizionale. Non si tratta di una riflessione intellettuale sulle motivazioni che spingono gli artisti a creare o su come i critici decifano le loro opere. No, questo è un film in cui l’arte è, letteralmente, il veicolo di una maledizione oscura. L’arte diventa il carnefice, e lo fa in modo spietato.

Morf Vandewalt (Jake Gyllenhaal), critico d’arte egocentrico e sardonico, è il protagonista che ci guida attraverso questo universo. Interpretato con il consueto fascino inquietante di Gyllenhaal, Morf è il personaggio che incarna la vanità e l’avidità del mondo dell’arte. La sua relazione con Josephina (Natalia Dyer, nota per Stranger Things), una giovane assistente di galleria che si ritrova coinvolta in una serie di eventi soprannaturali dopo aver trafugato alcune opere di un misterioso artista morto, è l’inizio di una spirale che porterà tutti i protagonisti a una morte orribile e simbolica.

Quando Josephina scopre una serie di dipinti di un anziano artista, Vetril Dease, le cose iniziano a prendere una piega inquietante. Le opere, create in un periodo di intensa sofferenza psicologica, si vendicano contro chi cerca di trarne profitto. Ogni opera diventa un portale verso la morte, e ogni personaggio che si avvicina alla sua bellezza ne paga il prezzo.

Un horror che non gioca con le convenzioni

Se da un lato il film esplora la perversione del mercato dell’arte contemporanea, dall’altro lo fa con un tocco horror che è un po’ una sorpresa. Velvet Buzzsaw non si inserisce in un filone di horror tradizionale, con fantasmi e creature mostruose che si aggirano nei corridoi oscuri, ma opta per un tipo di terrore più psicologico e viscerale. Le opere di Dease, le sue tele inquietanti, sono possedute da un’energia maligna che sembra ingerire chiunque tenti di sfruttarle, portando alla morte in modi artistici, quasi come se l’arte stessa fosse in grado di autodifendersi.

Le uccisioni sono coreografate con una certa inventiva, spesso rendendo ogni morte un atto che potrebbe essere considerato un’opera d’arte, un finale macabro che riflette la brutalità dell’ambiente artistico stesso. Per esempio, una delle scene più memorabili include un’art installation chiamata “Sphere” che porta alla morte una delle curatrici. Il fatto che queste morti siano tutte legate all’arte riflette perfettamente la concezione del film: l’arte non è solo qualcosa da guardare o apprezzare, ma può essere anche una forza distruttiva e inarrestabile.

Personaggi: un circo di egocentrici

Oltre alla trama e all’elemento horror, Velvet Buzzsaw è un gioco di personaggi in cui nessuno esce davvero pulito. La pellicola ci presenta una galleria di figure egocentriche e opportuniste che vivono di speculazioni, ossessionati dal potere e dalla fama che l’arte può dare loro. Gyllenhaal, con la sua interpretazione sopra le righe, è perfetto nel ruolo di un critico d’arte che vede le opere come meri oggetti da manipolare e sfruttare per il proprio guadagno. A suo fianco, Rene Russo interpreta Rhodora Haze, una gallerista che non si fa scrupoli pur di trarre profitto dalle opere di Dease, mentre Toni Collette offre una performance inquietante nei panni della curatrice Gretchen, che finirà per diventare una vittima della stessa arte che tanto amava.

Ma, come in ogni film horror che si rispetti, c’è sempre una vittima che sembra uscirne illesa: Coco, la stagista della galleria, è l’unica a sopravvivere alle terribili morti che costellano la pellicola. La sua figura, sebbene paradossalmente “salva”, rappresenta forse una riflessione sulla scarsità di valori nel mondo dell’arte, dove chiunque è sacrificabile per il successo.

Un film visivamente intrigante, ma a tratti lento

Il film riesce a conquistare dal punto di vista visivo: le opere d’arte, nonostante siano oggetti di morte, sono presentate con una bellezza seducente. La fotografia, curata da Robert Elswit, dà vita a un mondo ricco di luci, ombre e colori che si mescolano all’ambientazione elegante della Los Angeles artistica. Ma nonostante un’estetica curata e una trama che ha delle potenzialità, Velvet Buzzsaw soffre a tratti di una lentezza che rischia di annoiare. La storia si snoda in modo più riflessivo che dinamico, e la mescolanza tra horror e satira del mondo dell’arte non sempre riesce a mantenere l’equilibrio giusto.

In conclusione, Velvet Buzzsaw è un film che offre una visione interessante e inquietante sull’arte contemporanea, ma che, purtroppo, a volte si perde tra il suo intento artistico e la sua voglia di essere un film horror fuori dagli schemi. È un’opera che sicuramente piacerà agli amanti del genere, ma che non riesce sempre a mantenere la tensione che promette. Un po’ troppo lento e, in alcuni momenti, un po’ troppo enigmatico, ma comunque intrigante per chi è in cerca di un’esperienza cinematografica originale e, per dirla in modo nerd, un po’ malsana.

Maria Merola

Laureata in Beni Culturali, lavora nel campo del marketing e degli eventi. Ama Star Wars, il cosplay e tutto ciò che riguarda il mondo del fantastico, come rifugio dalla realtà quotidiana. In particolare è l'autrice del blog "La Terra in Mezzo" dedicato ai miti e alle leggende del suo Molise.

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