Il sangue sgorgava caldo dalla ferita; la lama spuntava dal collo in modo quasi naturale, come se la carne si fosse aperta docilmente all’ingresso del coltello: era la sensazione più strana che avesse mai provato. La detective Nan Vining ricorda ogni istante di quell’aggressione, e del mostro dall’aspetto innocuo che l’ha attirata con l’inganno in quella casa vuota per poi colpirla ferocemente. Prima di fuggire, l’uomo l’ha stretta a sé, ansimandole sul viso, come un amante, e fissandola intensamente, per vederle la morte negli occhi. Ma lei non è morta. Ha lasciato il proprio corpo solo per qualche minuto, poi è tornata tra i vivi. Non può dimenticare, perché di quell’esperienza porta ancora i segni: nel corpo – una lunga cicatrice sul collo, un’altra più piccola sulla mano – e nella mente, per via degli incubi che continuano a perseguitarla. E perché lui, il mostro, è ancora in libertà. A un anno di distanza, l’agente Vining riprende servizio al Dipartimento di polizia di Pasadena, e subito è chiamata a indagare sull’omicidio di una collega. Il corpo della donna, scomparsa due settimane prima, viene ritrovato sotto un ponte: nudo, coperto di lividi, sgozzato. Nan è turbata dalle somiglianze con il proprio caso, ma soprattutto dalle visioni che non cessano di tormentarla.