Il film Tzameti-13 di Gela Babluani, opera prima di questo giovanissimo regista georgiano scappato dalla propria terra d’origine per studiare cinema a Parigi seguendo le orme del padre, Temour Babluani, che vinse l’Orso d’argento a Berlino nel 1993 con The Sun of the Wakeful. che nella terra natia è uno stimato cineasta, è una di quelle pellicole da non perdere.
Tzameti era stato proiettato all’interno delle Giornate degli autori, una sezione minore della Mostra del Cinema di Venezia, del film si sapeva pochissimo, girava al Lido soltanto una cartolina che lo promuoveva. Anche il regista, durante la presentazione che precede la prima, aveva detto poco, pochissimo. Poi il film. Intenso, avvincente, universale, bello con una fotografia impeccabile, straordinario. I temi affrontati sono caldi e profondi: la morte, il potere, il gioco invisibile del destino; ma nessun trattato filosofico sullo schermo, nessun film-saggio.
In Tzameti-13 ciò che prevale su tutto è la storia e di questi tempi non è poco; l’espediente narrativo utilizzato è quello del classico scambio di persona. Sébastien, 20 anni, decide di seguire le indicazioni destinate ad un altro senza sapere dove lo condurranno. Ignora anche che Gerard Dorez, commissario di dubbia reputazione, lo segue per ragioni personali. Arrivato alla sua meta, Sebastien si trova invischiato in uno strano circolo di scommesse clandestine, un mondo degenerato. E a questo punto inizia un vero e proprio calvario, per il giovane Sebastien e per noi che stiamo a guardare attimo per attimo la sua sorte messa in gioco, e che gioco! È impossibile uscire dalla sala, ad un certo punto la tensione è a tale livello che una pausa varrebbe la pena di farla ma non si può, davanti a Tzameti-13 ci si sta fino all’ultimo respiro – passate la citazione che in questo caso non stona affatto-.
Il film di Babluani è un noir come non se ne vedevano da tempo, è un perfetto polar francese degno del migliore Melville (quello di Frank Costello faccia d’angelo, de I senza nome, di Tutte le ore feriscono…l’ultima uccide). La stupenda fotografia in bianco e nero di Tariel Meliava crea un universo livido, opprimente, sottolinea le emozioni dei personaggi con l’uso intelligente del contrasto e della luce; non c’è il colore nel mondo degenerato e viscido di Tzameti-13. La vicenda acquista con questi elementi un respiro ampio, innalzandosi a simbolo della mercificazione della vita, della lotta per la sopravvivenza. Sebastian, il protagonista, segue un percorso non suo, che non può essere arrestato in alcun modo perché regolato da leggi sconosciute agli uomini. Il suo volto quasi angelico contrasta con l’ambiente cui entra a contatto, sembra una sorta di angelo caduto tragicamente nell’inumana lotta per il denaro. La direzione degli attori è precisa e curata, la regia energica; la macchina da presa fa sentire la propria presenza, i movimenti sono calibrati e precisi. La biografia dell’autore è piena di elementi riconducibili al film: l’infanzia trascorsa in piena guerra civile, nel caos post guerra fredda della natìa Georgia, e la visione giovanile della opere del cinema russo. Nessun virtuosismo in Tzameti, nessuna arroganza, solo una buona dose di cinema puro, perfetto per essere il primo film di un venteseienne.
Vista la difficile e sommessa distribuzione del film di Babluani (un film in Mostra nel settembre scorso che esce in pieni mesi estivi l’anno successivo, solo grazie a un’operazione da “salvaguardia della specie”, ovvero un pacchetto di cinque opere che altrimenti non sarebbero mai state distribuite in Italia), non c’è da aspettarsi che ne uscirà il dvd. Rischiare di perderlo è davvero una scommessa persa. Cinemazero ci crede e decide di mettere nel programma della Sala Pasolini, aperta anche nei mesi estivi, l’intera rassegna de “I cinque pezzi facili”, che prevede anche Tzameti, a cui seguiranno Soap di P.F.Christensen, Migliore Opera prima a Berlino 2006 e Tough Enough di D.Buck, un illuminato film sui teenagers di oggi ambientato nei quartieri poveri di Berlino.