Recentemente, Arianna Meloni, sorella della Premier Giorgia Meloni, ha fatto un curioso paragone tra il ruolo della presidente del Consiglio e il personaggio di Frodo Baggins, il protagonista de Il Signore degli Anelli di J.R.R. Tolkien. In un discorso rivolto al suo partito, Arianna ha descritto Giorgia come portatrice di un compito arduo e gravoso, un “Anello” che, seppur pesante, deve essere distrutto. Questa analogia tra la figura politica e quella del piccolo hobbit incaricato di distruggere l’Anello del Potere non è solo un omaggio letterario, ma un invito a riflettere sul ruolo del gruppo politico nel sostenere una leadership in un momento di difficoltà. La “Compagnia dell’Anello” di Tolkien, che combatte contro forze oscure con l’obiettivo di salvare il mondo, diventa il simbolo di una comunità che deve sorreggere la propria guida senza mai “indossare l’Anello”, ossia senza farsi sopraffare dal potere e dai suoi pesi. Un concetto interessante, ma che va oltre la semplice metafora: l’interpretazione politica della saga di Tolkien è infatti un tema complesso e affascinante, capace di sollevare domande sulle letture che vengono fatte dell’opera e sulle implicazioni ideologiche che ne derivano.
J.R.R. Tolkien, autore britannico celebre per le sue opere epiche come Il Signore degli Anelli e Lo Hobbit, ha lasciato un’impronta indelebile non solo nella letteratura fantasy, ma anche in vari ambiti culturali, politici e sociali. La sua vasta eredità ha attratto, nel corso dei decenni, l’attenzione di numerosi lettori e pensatori di orientamento diverso. In particolare, in Italia, l’opera di Tolkien è stata adottata dalla destra politica, che ha visto nei suoi valori e nei suoi personaggi una fonte di ispirazione per la propria visione del mondo. Ma perché Il Signore degli Anelli è diventato un simbolo per questa parte della politica italiana? E in che modo il legame tra Tolkien e la destra si è sviluppato nel tempo?
Il collegamento tra Tolkien e la destra italiana ha radici profonde, risalenti agli anni Settanta, quando la trilogia fu tradotta per la prima volta in italiano.
In quel periodo, l’introduzione al testo da parte del filosofo e saggista Elemire Zolla, figura vicina alla Nuova Destra, giocò un ruolo cruciale nel delineare l’opera di Tolkien come una difesa dei valori tradizionali contro il progresso tecnologico e il materialismo dilagante. Zolla interpretò l’opera di Tolkien come una difesa dei valori tradizionali, della gerarchia, dell’ordine, della fedeltà, della purezza, della bellezza, della spiritualità e della natura, minacciati dal progresso tecnologico, dal materialismo, dal relativismo, dalla corruzione e dalla degenerazione. Zolla vide in Tolkien un autore reazionario, conservatore, aristocratico, anti-moderno e anti-democratico, che esprimeva una visione del mondo fondata sul mito, sull’eroismo, sul sacro e sul destino. Zolla, inoltre, collegò la saga tolkeniana alla storia italiana, identificando nella Contea, la pacifica e rurale terra degli hobbit, una metafora dell’Italia pre-unitaria, caratterizzata da una ricca varietà di culture, lingue e tradizioni locali, e in Sauron, il malvagio signore oscuro che vuole conquistare la Terra di Mezzo con il suo esercito di orchi, una rappresentazione del Risorgimento, del centralismo, del capitalismo, del comunismo e dell’americanismo, che avrebbero distrutto l’identità e la diversità del paese. Zolla, infine, elogiò la figura di Aragorn, l’erede al trono di Gondor, come il simbolo del sovrano legittimo, capace di restaurare l’ordine e la giustizia, e di Frodo, il piccolo hobbit incaricato di distruggere l’Anello del Potere, come il modello del fedele servitore, disposto a sacrificarsi per una causa superiore.
L’introduzione di Zolla ebbe un grande impatto sui lettori italiani, soprattutto su quelli di destra, che si riconobbero nei valori e nei personaggi descritti da Tolkien, e che ne fecero una fonte di ispirazione per la loro visione politica e culturale. In particolare, i giovani militanti del Movimento Sociale Italiano (MSI), il partito erede del fascismo, si appassionarono alla saga tolkeniana, e ne adottarono i simboli e i nomi nelle loro manifestazioni, nelle loro canzoni, nelle loro fanzine e nei loro raduni. Tra questi, i più famosi furono i Campi Hobbit, organizzati tra il 1977 e il 1984 da alcuni esponenti della destra radicale, tra cui Giorgio Freda, Franco Freda e Pino Rauti, che si svolgevano in luoghi isolati e suggestivi, come le montagne, i boschi o le spiagge, e che avevano lo scopo di formare una nuova generazione di militanti, basata sui principi di lealtà, coraggio, disciplina, onore e fede. I partecipanti ai Campi Hobbit si vestivano con abiti medievali, si esercitavano con le armi, si cimentavano in prove di sopravvivenza, ascoltavano lezioni di storia, filosofia e politica, e si divertivano a recitare le scene de Il Signore degli Anelli, identificandosi con i personaggi della saga. Tra i frequentatori dei Campi Hobbit, ci fu anche una giovane Giorgia Meloni, che all’epoca era una militante del Fronte della Gioventù, l’organizzazione giovanile del MSI, e che si faceva chiamare Khy-ri, un nome tratto dal Silmarillion, il libro in cui Tolkien racconta le origini della Terra di Mezzo.
Tuttavia, è importante sottolineare che Il Signore degli Anelli non è un testo facilmente riducibile a una sola interpretazione politica.
La visione politica di Tolkien
Tolkien era uno scrittore che non amava molto la politica, e che non voleva che la sua opera fosse interpretata in chiave allegorica o ideologica. Tolkien, infatti, era un cattolico convinto, un conservatore moderato, un sostenitore della monarchia costituzionale, un oppositore del totalitarismo, un critico del capitalismo e del comunismo, un amante della natura e della tradizione. Tolkien, sopratutto, era un professore di linguistica e di letteratura, un esperto di mitologia e di storia, un creatore di mondi e di lingue, un poeta e un narratore. Tolkien, infine, era un uomo che aveva vissuto la prima guerra mondiale, la seconda guerra mondiale, la guerra fredda, e che aveva assistito ai grandi cambiamenti sociali e culturali del Novecento. Per citare un anedotto, nel 1938, l’autore era in trattative con la casa editrice berlinese Rütten & Loening per una versione tedesca de Lo Hobbit, ma il progetto saltò quando la casa editrice chiese una prova della sua “ascendenza ariana” in conformità con le leggi di Goebbels, che limitavano la partecipazione degli ebrei alla cultura tedesca. Tolkien rispose fermamente, rifiutando di fornire la documentazione richiesta, considerandola un’impertinenza e un’idea assurda. In una lettera a Stanley Unwin, il suo editore britannico, Tolkien spiegava che non considerava l’assenza di sangue ebraico come qualcosa di onorevole, e che avrebbe rifiutato di rispondere a domande del genere. Due anni dopo, Tolkien esprimeva ancora il suo disprezzo per i nazisti, definendo Hitler “un ignorante”. La traduzione in tedesco di Lo Hobbit non avvenne fino al 1957.
Tutti questi aspetti della sua personalità e della sua esperienza si riflettono nella sua opera, che è ricca di sfumature, di contrasti, di ambiguità, di simboli, di messaggi. L’analogia fatta da Arianna Meloni tra Giorgia Meloni e Frodo non è solo un curioso richiamo letterario, ma anche un’indicazione di come i temi tolkeniani continuano a risuonare nella politica contemporanea. Ma al di là di questa lettura, la saga di Tolkien rimane un’opera universale, capace di ispirare chiunque, a seconda del punto di vista, degli interessi, delle sensibilità dei lettori. La sua opera, infine, è universale, capace di parlare a tutti i cuori e a tutte le menti, e di offrire una visione del mondo ricca, profonda, complessa e affascinante.
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