Nel panorama del cinema horror contemporaneo, sempre più orientato verso l’esplorazione delle angosce quotidiane e delle paure sociali, The Rule of Jenny Pen emerge come una delle pellicole più affascinanti e inquietanti del 2025. Diretto da James Ashcroft e tratto da un racconto di Owen Marshall, il film segna il ritorno sul grande schermo di due leggende del cinema come Geoffrey Rush e John Lithgow, protagonisti di una storia che mescola dramma umano e terrore psicologico, con una potenza narrativa che lascia il segno.
Il film ha fatto il suo debutto mondiale al Fantastic Fest di settembre 2024, per poi continuare il suo percorso nei festival di genere più prestigiosi, tra cui il Sitges Film Festival, conquistando critiche entusiaste per la sua atmosfera tesa e il suo trattamento raffinato dell’orrore psicologico. The Rule of Jenny Pen non è un horror che si affida ai consueti colpi di scena o agli spaventi improvvisi, ma piuttosto si sviluppa come una riflessione inquietante sul potere, la manipolazione e la vulnerabilità dell’essere umano.
La trama segue la storia di Stefan Mortensen, un giudice di mezza età interpretato da Geoffrey Rush, costretto a ritirarsi in una casa di riposo dopo essere stato colpito da un ictus. Quello che inizialmente sembra un soggiorno temporaneo per riprendersi, si trasforma ben presto in un incubo quando Stefan incrocia la strada di Dave Crealy (John Lithgow), un residente di lunga data che esercita un controllo perverso sugli altri ospiti attraverso un gioco psicologico di potere. La “Regola di Jenny Pen”, che dà il titolo al film, è un rituale crudele e inquietante che coinvolge una bambola e sfrutta le paure e le debolezze dei pazienti, costringendoli a sottomettersi al volere di Crealy. L’inquietante dinamica tra Stefan e Crealy dà vita a un confronto psicologico sempre più aspro, che si svolge tra le mura claustrofobiche della casa di riposo.
Le scelte stilistiche di Ashcroft contribuiscono in maniera decisiva a creare una tensione palpabile: l’ambientazione è una casa di riposo che sembra più un purgatorio in decadenza che un luogo di accoglienza. I corridoi scarsamente illuminati, le palette di colori tenui e le inquadrature strette amplificano la sensazione di oppressione che pervade ogni scena. L’utilizzo di luci tremolanti e ombre cupe accentua ulteriormente il senso di inquietudine, rendendo la presenza della bambola Jenny Pen ancora più perturbante.
Ma è senza dubbio la potenza delle interpretazioni a rendere il film un’esperienza unica. Geoffrey Rush, con la sua capacità di trasmettere vulnerabilità e resistenza, incarna alla perfezione la discesa di Stefan nella paura, dosando ogni sguardo e ogni movimento per trasmettere la lenta erosione della sua stabilità mentale. Dall’altra parte, John Lithgow si conferma un maestro nell’interpretare personaggi ambigui e inquietanti: il suo Crealy è un mix di fascino perverso e minaccia incombente, capace di gelare il sangue con la sua presenza. George Henare, nei panni di Tony, il compagno di stanza di Stefan, offre un contrappunto di calore, una figura umana in contrasto con l’atmosfera cupa che domina la pellicola.
Se da un lato la prima metà del film si distingue per un ritmo lento ma incisivo, capace di costruire una tensione insostenibile, dall’altro la seconda parte vede il ritmo sbiadire, con alcuni sviluppi che sembrano perdere di vigore. Le motivazioni di Crealy, infatti, restano vaghe e ciò indebolisce l’impatto psicologico di alcune sue azioni. Inoltre, alcuni elementi tipici dell’horror, come le sequenze di sogni e le percezioni inaffidabili, sembrano fare ricorso a tropi abusati, indebolendo parzialmente l’efficacia della trama.
Tuttavia, nonostante questi difetti, The Rule of Jenny Pen riesce a mantenere una forte presa sul pubblico grazie alla sua narrazione avvincente e alla capacità di scavare nelle paure più intime dei suoi personaggi. Il film si distingue per il suo approccio psicologico all’orrore, in cui la minaccia non è rappresentata da entità soprannaturali, ma dalla perversione umana e dalle dinamiche di potere che si sviluppano in ambienti chiusi e isolati. Come ha affermato lo stesso Ashcroft, “i tiranni possono nascere ovunque: in un’aula di scuola, in un’azienda, in un governo o, in questo caso, in una casa di riposo. Il potere si insinua dove trova terreno fertile”.
In questo senso, The Rule of Jenny Pen si configura come un horror psicologico che esplora temi universali come l’abuso di potere, la manipolazione mentale e la lotta per la propria autonomia in un sistema che sembra condannare alla passività. La scelta di ambientare la storia in una casa di riposo aggiunge una dimensione inquietante al film, trasformando un luogo normalmente associato alla cura e al riposo in un vero e proprio palcoscenico di orrori quotidiani.
Il duello tra Rush e Lithgow, entrambi in formissima, è uno degli elementi più straordinari del film. Rush, già celebre per il suo talento, regala una performance intensissima, capace di rappresentare la progressiva discesa del suo personaggio nella paura. Lithgow, con la sua abilità di giocare con le sfumature di sadismo e ambiguità, offre un’interpretazione memorabile di Crealy, l’antagonista perfetto.
The Rule of Jenny Pen non è un film che punta sull’effetto sorpresa o sugli spaventi improvvisi. Piuttosto, si propone come un’esperienza cinematografica capace di scardinare le certezze del pubblico, di farlo riflettere sul lato oscuro dell’animo umano e sulla fragilità dell’individuo di fronte alla manipolazione psicologica. Pur con alcune imperfezioni narrative, il film riesce a catturare l’attenzione grazie alla sua atmosfera oppressiva, alla regia impeccabile e alle interpretazioni straordinarie. Un horror psicologico che, in un’epoca dominata da storie di spettri e demoni, offre qualcosa di più profondo e disturbante: la riflessione sul potere e sulla sottomissione nelle relazioni umane.
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