007 Spectre, il ventiquattresimo capitolo della saga di James Bond, è un film che lascia un retrogusto amaro. Diretto da Sam Mendes, già regista di Skyfall, il film si inserisce nel ciclo di Bond interpretato da Daniel Craig, un 007 muscolare che ha ridisegnato, con il suo approccio più moderno e crudo, l’iconico agente segreto. Tuttavia, nonostante le premesse di grandezza, Spectre sembra risentire di un eccesso di aspettative e di una certa mancanza di vigore, specialmente se paragonato al suo predecessore, che aveva stabilito un nuovo standard per la serie.
Nel cuore del film, James Bond segue una scia lasciata dall’ex M, che lo porta in giro per il mondo a caccia di una misteriosa organizzazione criminale, la SPECTRE, e di un antagonista che sembra essere destinato a diventare un avversario personale: Franz Oberhauser, alias Ernst Stavro Blofeld. La trama, purtroppo, si scontra con una serie di buchi narrativi che mettono in crisi la credibilità della storia. Se in Skyfall il regista Sam Mendes aveva messo in scena una trama ricca di sfumature psicologiche e una riflessione sulla figura di Bond, qui sembra esserci una discontinuità notevole, come se gli autori avessero deciso di tornare a una formula più “classica”, senza curarsi troppo di mantenerne la coerenza interna.
Il film, pur non mancando di effetti speciali spettacolari e scenografie mozzafiato, si perde nei dettagli. Il classico mix di azione e seduzione, che ha sempre caratterizzato Bond, appare stucchevole e a volte forzato. L’entrata in scena di Bond a Città del Messico durante il Dia de los Muertos, per esempio, è spettacolare, ma la scena perde credibilità quando, dopo una devastante esplosione che distrugge un intero isolato, nessuno sembra troppo scosso da quanto accaduto. È una delle tante incongruenze che, purtroppo, costellano il film, come il cambio di abiti e location che pare essere più un gioco di stile che una giustificazione narrativa.
Una delle parti più deboli di Spectre è proprio la sceneggiatura, che non riesce a rendere omaggio all’intensità di Casino Royale né alla coerenza di Quantum of Solace. La storia si avventura in territori un po’ troppo familiari, come quello della scoperta di un misterioso “cattivo” che ha radici nel passato di Bond, e si perde in un intreccio che più che avvincere, confonde. L’idea che l’intera carriera di 007 sia stata manipolata da Blofeld, un personaggio che alla fine appare un po’ troppo convenzionale e poco minaccioso, sembra un tentativo forzato di legare tutte le storie precedenti, ma senza il respiro narrativo che un’impresa del genere avrebbe richiesto.
Tuttavia, nonostante le sue pecche, Spectre si fa notare per la qualità delle sue interpretazioni. Daniel Craig, purtroppo, appare meno ispirato rispetto a quanto visto in Skyfall, ma riesce comunque a conferire a Bond una solidità che ormai gli appartiene. Lea Seydoux, nel ruolo di Madeleine Swann, riesce a portare un po’ di freschezza in un contesto che, a tratti, sembra incapace di rinnovarsi. Il suo personaggio, purtroppo, non è sufficientemente sviluppato per farsi davvero apprezzare, e la storia d’amore con Bond sembra un’aggiunta poco credibile, quasi forzata per rispettare un canone della saga.
Sam Mendes, in Spectre, sembra voler giocare a fare il regista di grandi produzioni hollywoodiane, ma senza la stessa passione e cura che avevano animato Skyfall. In quest’ultimo, aveva avuto la libertà di esplorare la psicologia di Bond e di rinnovare il personaggio in modo profondo, ma qui il film sembra una macchina ben oliata che però non riesce a riscaldarsi mai del tutto. Il regista non sembra più avere il controllo assoluto della sua visione, e la sceneggiatura ne risente. Ogni scena sembra troppo calcolata, ogni mossa del protagonista quasi una ripetizione dei cliché più noti del franchise.
Il colpo di scena finale, con Blofeld che si rivela come il “fratello adottivo” di Bond, ha il sapore di una rivelazione forzata, una scelta che appare più come un modo per chiudere un cerchio piuttosto che un momento davvero emozionante. La saga sembra voler, con quest’episodio, tirare le fila di tutta la storia di Bond, ma lo fa in modo artificioso e poco convincente, lasciando l’impressione che l’universo creato da Ian Fleming non abbia più molto da dire. In fondo, la vera delusione di Spectre non è nella sua realizzazione tecnica, ma nella sua capacità di emozionare e di portare il personaggio di Bond a nuovi orizzonti. Ci si aspettava molto, ma il film non riesce mai ad alzare veramente l’asticella, risultando un’ombra di ciò che aveva fatto brillare Skyfall.
Se Skyfall aveva sancito una nuova fase per la saga, con Spectre ci si ritrova ad un bivio, dove la sensazione di un’operazione più meccanica e meno ispirata prevale. In definitiva, questo ventiquattresimo film di James Bond segna una chiusura non del tutto all’altezza della carriera di Daniel Craig nei panni dell’agente segreto più famoso del mondo. Nonostante le sue fragilità, Spectre è comunque un film da vedere, ma non lascia la stessa traccia indelebile di altri capitoli della saga.
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