Nel crepuscolo del ventesimo secolo, in mezzo ai cambiamenti culturali e politici che hanno travolto l’Europa orientale, una gemma nascosta è emersa dal cuore dell’Ungheria, trascendendo i confini dell’animazione convenzionale. Son of the White Mare (titolo originale: Fehérlófia ), diretto da Marcell Jankovics nel 1981, si erge come un audace omaggio al folklore e ai miti degli antichi popoli unni, avari e ungheresi. Traendo ispirazione dalla poesia narrativa di László Arany e profondamente radicato nelle leggende primordiali delle steppe eurasiatiche, il film si dispiega come un’ipnotizzante sinfonia visiva, sposando l’antico con l’avanguardia.
Ambientato sullo sfondo della fiorente scena di animazione ungherese degli anni ’70 e ’80, Son of the White Mare è emerso dal Pannónia Filmstúdió, una potenza che ha coltivato talenti come György Kovásznai, Ottó Foky e Kati Macskássy. Eppure è stato Jankovics a ritagliarsi un posto unico nella storia dell’animazione con il suo stile psichedelico e ferocemente originale. La sua opera, Son of the White Mare , sfida i limiti del mezzo, trasformando il folklore in un caleidoscopio di forme surreali e fluide che danzano sullo schermo in una vibrante esplosione di colori e movimento.
Il film racconta la storia di Fanyüvő, o Treeshaker, figlio di un cavallo celeste intriso di forza soprannaturale. Allattato dal latte della madre divina, cresce fino a diventare una figura di proporzioni mitiche, destinata a confrontarsi con le forze caotiche che hanno sconvolto l’ordine cosmico. Insieme ai suoi fratelli, Kőmorzsoló (Stonecrumbler) e Vasgyúró (Ironrubber), Fanyüvő intraprende una missione per sconfiggere i draghi a tre teste che hanno usurpato il mondo, una storia antica come il tempo, ma presentata in un modo fresco e viscerale come un fulmine.
Il film di Jankovics è una festa per i sensi, un sogno febbrile di forme e colori che sembrano pulsare di vita. Ogni fotogramma è meticolosamente realizzato, una testimonianza della visione dell’artista e dello spirito collettivo del Pannónia Filmstúdió. La narrazione, pur radicata nella struttura semplicistica di un racconto popolare, funge da trampolino di lancio per una sorprendente serie di metafore visive e immagini simboliche. Il mondo di Son of the White Mare è in continuo flusso, dove le forme si fondono e si riconfigurano, dove ogni scena è una rinascita, una fenice che risorge dalle proprie ceneri.
Le scelte estetiche in Son of the White Mare non sono semplicemente ornamentali, ma sono intrinseche alla sua narrazione. L’uso di colori audaci e contrastanti e la fluidità dell’animazione creano un senso di ultraterreno, un universo in cui le leggi fisiche della nostra realtà non hanno alcun potere. È come se lo spettatore fosse immerso in un paesaggio onirico, un luogo in cui la mente subconscia tiene corte. Questa qualità eterea è accentuata dalla colonna sonora del film, una sintesi inquietante di suoni tradizionali e contemporanei che avvolgono la narrazione in un mantello di mistero e meraviglia.
I toni mitologici del film risuonano con i miti della creazione di molte culture, non solo quelle ungheresi. Le figure archetipiche del Progenitore e della Progenitrice, l’albero del mondo o Világfa e l’eterna lotta contro il caos riecheggiano attraverso i secoli, collegando l’opera di Jankovics a una stirpe di narratori che abbraccia millenni. E tuttavia, nonostante tutta la sua universalità, Son of the White Mare rimane profondamente ungherese, un artefatto culturale che parla all’anima di una nazione, immersa nella sua storia e nel suo passato mitico.
Nonostante la sua brillantezza, Son of the White Mare è rimasto ampiamente sconosciuto al di fuori dell’Ungheria per decenni. Solo con il suo restauro da parte dello studio di Los Angeles Arbelos Films nel 2019 un pubblico più vasto ha potuto apprezzarne la bellezza unica. Questo restauro 4K, presentato in anteprima al Fantasia International Film Festival, è stato un lavoro d’amore, che ha ricostruito meticolosamente la vivida tavolozza e i dettagli intricati del film. L’uscita del restauro su Vimeo nel 2020 ha segnato la prima volta in cui il film è stato ampiamente disponibile negli Stati Uniti, un arrivo tardivo ma trionfale che ha coinciso con un rinnovato interesse per l’opera di Jankovics.
L’influenza del film, seppur sottile, può essere rintracciata nelle opere di animatori e registi che ne hanno sostenuto lo stile visionario. L’animatore Disney Roger Allers, dopo essersi imbattuto in una copia pirata del film, ne fu così affascinato che invitò Jankovics a lavorare su Kingdom of the Sun , il progetto che alla fine sarebbe diventato The Emperor’s New Groove . Peter Chung, creatore della serie cult Aeon Flux , ha anche riconosciuto il profondo impatto del lavoro di Jankovics sul suo sviluppo artistico.
Eppure, nonostante tutti i suoi riconoscimenti e lo status di cult, Son of the White Mare rimane un tesoro in gran parte inesplorato, un film che sfida una facile categorizzazione. È una testimonianza del potere dell’animazione come forma d’arte, un mezzo in grado di trasmettere le idee più astratte e profonde attraverso i mezzi più semplici. In ogni suo fotogramma, sussurra le antiche storie della steppa, l’eterna danza di creazione e distruzione, un’epopea visiva che riguarda tanto l’atto della narrazione quanto la storia stessa.
Per coloro che sono disposti ad avventurarsi nella sua foresta incantata di luce e suono, Son of the White Mare offre un’esperienza diversa da qualsiasi altra. È un viaggio indietro nel tempo prima del tempo, in un luogo in cui dei ed eroi camminavano sulla terra e dove l’immaginazione non conosceva limiti. Mentre i titoli di coda scorrono e l’immagine finale sfuma in nero, si rimane con la sensazione di aver assistito a qualcosa di veramente straordinario: un’opera d’arte che, come il mondo che raffigura, è allo stesso tempo effimera ed eterna.
Aggiungi commento