Quella del simposio e del brindisi, era per i cittadini dell’Urbe, una vera arte. Meticolosi e pignoli, usavano coppe e bicchieri diversi, per foggia e materiale, a seconda dei tipi di vino: rosso, bianco, naturale o con l’aggiunta di miele, freddo o caldo. Il “vinum conditum“, per esempio, era addizionato con la mirra ( murra) e si consumava caldo: per questa ragione non si sorbiva in coppe di vetro, ma di pietre semipreziose (chiamate appunto Murrinae) identificate di volta in volta con minerali differenti (onice, agata, opale, ambra).
Si conoscevano più di trecento tipi differenti di coppe e bicchieri. Il più diffuso era il poculum, un contenitore senza manici e con un piccolo piede, realizzato soprattutto in terracotta o legno.
A partire dal periodo tardo repubblicano, però, il legno fu usato solo per le libagioni sacrificali o per bere il latte di capra. Lo scyphus era una sorta di ciotola, inizialmente di legno, poi realizzata in argento e talvolta munita di manici. Il cantharus era invece un grosso calice dal largo piede. C’era poi la phiala, una coppa larga e bassa, simile a quella usata oggi per gli spumanti, d’argento o d’oro. Il calix era la tipica coppa media, con piede e manici, molto comune, rappresentata spesso negli affreschi dell’epoca.
Ma i Romani amavano le curiosità: per sorbire alcuni vini si servivano di calici a forma di conchiglia o di barca, come il cymbium o lo scaphium. Esisteva anche una sorta di corno, chiamato rhytium, che permetteva di bere il vino centellinandolo. Particolarmente prezioso era poi il diatretum, una coppa di cristallo o pietra dura riccamente adornata con intagli “a giorno”. La lagona era un recipiente panciuto dal collo stretto, che si allargava in alto, con un solo manico, usato per versare il vino nei bicchieri, simile al nostro fiasco.
Ai vini di grande qualità erano riservati recipienti che permettevano di versarli poco a poco: l’ampulla e il guttus. Si usava anche aromatizzare i vini con nardo (una specie di lavanda) e resine e per conservarli si utilizzavano ampolle del tutto simili a quelle usate in profumeria. I crateri erano vasi dalla larga imboccatura, usati per mescolare l’acqua e il vino. In origine erano di terracotta, via via vennero realizzati esemplari in bronzo: avevano un piede di sostegno ed erano arricchiti da manici, oltre che a essere decorati in vario modo. Dal cratere, il vino veniva attinto, nella quantità necessaria a riempire i bicchieri, per mezzo di un mestolo dal manico lungo, il simpulum, realizzato spesso in metalli nobili.
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