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Silo, la nuova trilogia su Apple Tv+

Una trilogia in nove parti? Ma come si fa? È come dire “ho fatto una dieta di tre giorni in una settimana”. Ma va bene, andiamo avanti. Sto parlando di Silo, la serie su Apple Tv+, la app di streaming di Apple. Sì, quella che ti fa pagare un sacco di soldi per guardare le stesse cose che puoi trovare gratis su internet. Ma non dirlo a nessuno.

Silo è un prodotto notevole, che ha attirato l’attenzione sia per la storia che per il livello di qualità della produzione. E anche perché è l’unica cosa decente su Apple Tv+. La vicenda è nota ai più, credo, ma la ricapitolo per sicurezza: la serie è ambientata all’interno di un enorme silo dove vivono 10mila persone. Sì, hai capito bene, 10mila persone in un silo. Dev’essere una festa continua lì dentro.

Gli abitanti del silo non hanno memoria dell’esterno, non sanno perché sono dentro, vivono in una apparente democrazia di cui mimano ruoli e funzioni. Insomma, è come se fossero tutti politici. Ma in realtà è una specie di dittatura segreta della quale sappiamo pochissimo. Un po’ come il governo, insomma.

Siamo di fronte a un classico prodotto televisivo dell’epoca inaugurata da Lost. Ricordate Lost? Ai tempi fu una sensazione e fece ripartire la serialità televisiva americana con una qualità che poi è esplosa sui servizi di streaming. Un prodotto che però aveva un problema: alla fine gli autori avevano creato talmente tante piste, falsi indizi, veri indizi, suggestioni, segreti, trucchi, mezze rivelazioni, che quando tirarono giù la clér per chiudere la serie non riuscirono a terminare tutto quello che avevano lasciato in sospeso. Insomma, era come se avessero fatto un puzzle e alla fine mancavano dei pezzi.

Invece Silo non solo non è una storia senza senso, ma è anche molto di più. È anche un prodotto televisivo post-Game of Thrones. Sì, quella serie dove tutti muoiono e ci sono draghi e gente che cammina nuda. La genialità dei produttori de Il Trono di Spade è stata quella di mantenere tutta la potenza narrativa dei “sacrifici di regina” creati da Martin: la morte improvvisa e irrimediabile di personaggi centrali alla storia. Insomma, era come guardare un reality show dove ogni settimana c’è l’eliminazione.

Ormai è nei manuali di sceneggiatura: preparate un personaggio con tutti i segni del protagonista e poi ammazzatelo a tradimento. Fate un bel cliffhanger e poi fatelo cadere sul serio. Per sempre. In Il Trono di Spade Eddard Stark muore alla fine della prima stagione e in un attimo abbiamo la conferma che in quella serie si viaggia a una velocità diversa. Ci si può aspettare di tutto, nessuno è al sicuro: il vecchio assioma che il buono non muore mai crolla. Si avverte un senso di urgenza e di pericolo neanche troppo strisciante. Che verrà ribadito e confermato nelle varie stagioni, con una vera epidemia di morti ammazzati – talvolta in gruppo talvolta da soli – che purtroppo poi si schianta contro il muro dell’ultima stagione. Ma questa è un’altra storia.

Comunque, dopo Game of Thrones le serie tv non sono più state la stessa cosa. È come se avessero perso il loro mojo. Silo, pur essendo ben lontano dalla crudezza di quella, ne mantiene alcune strutture narrative. Insomma, è come se avessero preso le cose buone di Game of Thrones e le avessero messe in un frullatore con altre cose.

La cosa che mi interessa di Silo è la sua origine: una serie di romanzi nati come autoproduzione e raccolti in tre volumi. Tutto nella mente di Hugh Howey, scrittore americano praticamente sconosciuto che esplose nel 2011. Sì, proprio come un vulcano.

Hugh Howey ha un talento diverso da quelli classici degli scrittori popolari di successo che lo hanno preceduto, cioè la capacità di gestire la promozione sui social e architettare l’uscita dei suoi libri in maniera tale da massimizzarne la visibilità. Insomma, è un mago dei social media.

Classe 1975, Hugh Howey è stato bravo anche a fare altro che non la promozione social. Ad esempio, è stato bravo come un qualsiasi Wilbur Smith o Ken Follett a vendere in maniera oculata i diritti dei suoi libri quando la serie è diventata un fenomeno di rete. E ha fatto i soldi sostanzialmente in questo modo. Ma alla base del successo di Hugh Howey c’è il talento per il digitale sociale. Un talento che forse Charles Dickens o Alexandre Dumas padre non sarebbero stati in grado di addomesticare. Chissà. Trovo intrigante l’idea di immaginare come i grandi autori di feuilleton dell’Ottocento si sarebbero mossi sui social per diventare fenomeni quali sono.

Ci sono però un paio di osservazioni ulteriori da fare su Silo. L’autoproduzione narrativa dei romanzi di Hugh Howey è figlia di una dimensione squisitamente letteraria della rete: si fa prima e meglio a promuovere la vendita di parole scritte e poi raccolte che non molte altre cose. Certo, dal nostro Zerocalcare all’americano e super-nerd xkcd, di fumettisti che sono “nati” in rete ce ne sono ormai a bizzeffe. Come per i musicisti che vengono tutti da X-Factor o da qualche altro game-show, così obbligatoriamente gli scrittori devono venire dalla pubblicazione online di qualche romanzo.

maio

maio

Massimiliano Oliosi, nato a Roma nel 1981, laureato in giurisprudenza, ma amante degli eventi e dell'organizzazione di essi, dal 1999 tramite varie realtà associative locali e nazionali partecipa ad eventi su tutto il territorio nazionale con un occhio particolare al dietro le quinte, alla macchina che fa girare tutto.

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