Resident Evil: Retribution è, senza dubbio, un capitolo che divide. Diretto da Paul W. S. Anderson, il film rappresenta il quinto episodio della saga cinematografica basata sull’omonima serie di videogiochi di Capcom. Ancora una volta, Milla Jovovich torna nei panni di Alice, un personaggio che ha evoluto nel corso dei film ma che, in questo capitolo, sembra essere prigioniera di un loop narrativo che la rende sempre più distaccata dalla trama stessa. La domanda che sorge spontanea dopo aver visto Resident Evil: Retribution è: cosa c’è di nuovo da dire in questa storia? La risposta, purtroppo, sembra essere “poco” o, forse, “niente”.
Il film si apre con un espediente narrativo interessante, ma non particolarmente innovativo: Alice, la protagonista, è intrappolata in una struttura sottomarina nel Polo Nord, dove l’Umbrella Corporation sta testando il T-virus tramite cloni e simulazioni. Questo setting, che si rivela una sorta di videogioco all’interno di un film, offre la premessa di un’azione a tutto campo, con ambienti che cambiano rapidamente e un ritmo incalzante, ma alla fine non fa che minare l’effetto di suspense. Sapere fin dall’inizio che tutto ciò che vediamo è una simulazione riduce ogni possibile senso di rischio. Alice, consapevole del suo status da “protagonista di un videogioco”, sembra muoversi in un mondo dove ogni minaccia è soltanto un ostacolo temporaneo, un malinteso che non intacca minimamente il suo inarrestabile progresso.
La regia di Anderson, sebbene mantenga l’energia visiva tipica della saga, non riesce più a stupire. L’azione è amplificata da esplosioni, combattimenti e sequenze spettacolari, ma la sensazione di “già visto” si fa prepotente. I vecchi nemici e alleati di Alice, come Rain Ocampo e Carlos Olivera, fanno il loro ritorno in questo episodio, ma il tutto appare come una reiterazione di dinamiche già esplorate in precedenza, senza quel brio che aveva contraddistinto i primi capitoli.
A livello narrativo, Resident Evil: Retribution manca di quella coesione che aveva reso i primi film più coinvolgenti, con un’introduzione di personaggi più sfaccettati e una trama che, seppur semplice, aveva un minimo di tensione. Qui, invece, ogni dialogo appare superfluo e, anche se la presenza di un elemento nuovo come Becky, la bambina sorda che crede che Alice sia sua madre, avrebbe potuto aggiungere una dimensione emotiva interessante, viene purtroppo relegata a un ruolo di scarsa rilevanza.
L’aspetto visivo, al contrario, è impeccabile: gli effetti speciali sono all’altezza del nome che porta la saga, e la tridimensionalità è utilizzata con un certo gusto, accentuando le sequenze di combattimento e aggiungendo una certa spettacolarità agli ambienti. Tuttavia, questi elementi visivi non bastano a sollevare il film dal suo inevitabile destino di mediocrità. Il film è spesso una sequenza di immagini mozzafiato, senza mai trovare una connessione autentica con lo spettatore, un po’ come un videogioco che si gioca senza emozione.
Il vero problema, però, è che Resident Evil: Retribution è un film che si prende troppo sul serio, pur senza avere il minimo accenno di profondità narrativa. Anderson sembra essersi perso in un turbine di effetti speciali e combattimenti, dimenticandosi che una trama solida e dei personaggi ben sviluppati sono ciò che rende un film coinvolgente. In fin dei conti, Resident Evil: Retribution si configura come un passo indietro rispetto ai suoi predecessori, segnato dalla sensazione di essere una mera preparazione per un seguito che, nella sua formulazione, non sembra mai decollare.
Milla Jovovich, pur continuando a incarnare Alice con una certa carica, sembra ormai una figura intrappolata in un copione che non ha più nulla da dire. L’ironia che aveva contraddistinto i primi film è qui assente, e lo sguardo in macchina di Alice, che sfida costantemente le minacce, diventa un gesto che non emoziona più. È una performer che, più che protagonista, appare quasi una comparsa in un mondo che non ha più nulla da offrirle.
Resident Evil: Retribution è, dunque, un film che si lascia guardare per la sua spettacolarità, ma che non ha nulla da aggiungere alla saga. È come un videogioco in cui non ci si può emozionare, un’esperienza che lascia ben poco dietro di sé. Non è un capitolo memorabile, e per chi sperava in un’evoluzione interessante della saga, è piuttosto una delusione.
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