“Tumbbad”, film horror fantasy in lingua hindi del 2018, rappresenta un’opera unica nel panorama cinematografico indiano, unendo mitologia, folklore e una profonda critica sociale. Diretto da Rahi Anil Barve, con la collaborazione di Anand Gandhi come direttore creativo e Adesh Prasad come co-regista, questo progetto cinematografico ha visto la luce dopo una lunga e travagliata produzione, diventando un cult nel cinema indiano contemporaneo. La sceneggiatura, scritta da Mitesh Shah, Prasad, Barve e Gandhi, intreccia abilmente il fantastico con il terrore, costruendo una narrazione che va ben oltre l’intrattenimento.
Al centro della storia vi è Vinayak Rao, interpretato da Sohum Shah, un uomo la cui vita è consumata dalla ricerca di un tesoro nascosto nel villaggio di Tumbbad, nello stato indiano del Maharashtra. La sua ossessione lo porta a confrontarsi con Hastar, un demone avvolto da leggende, confinato nel grembo della Dea della Prosperità. La narrazione si sviluppa attraverso tre capitoli che coprono diverse fasi storiche dell’India, dalla dominazione britannica all’indipendenza, esplorando il tema dell’avidità umana e della corruzione morale.
La trama del film affonda le radici nel folklore popolare e nella mitologia religiosa indiana, mescolando elementi fantastici e orrorifici in un’ambientazione gotica. La storia di Hastar, figlio della Dea della Prosperità, è simbolica: rappresenta l’avidità assoluta, punita dagli dei per aver tentato di appropriarsi non solo dell’oro ma anche del grano, simbolo di vita. La sua punizione è l’esilio eterno nel grembo della madre, un luogo inaccessibile che diventa oggetto del desiderio umano, incarnato dal protagonista Vinayak.
La regia di Barve crea un’atmosfera opprimente e inquietante, amplificata dalla fotografia di Pankaj Kumar, che utilizza sapientemente luci soffuse e ombre per dare vita a un mondo oscuro e minaccioso. La colonna sonora di Jesper Kyd contribuisce a costruire un ambiente sonoro che avvolge lo spettatore, trasportandolo nel cuore delle tenebre di Tumbbad. Ogni inquadratura è studiata per riflettere la desolazione del villaggio maledetto, continuamente flagellato da una pioggia incessante, simbolo della maledizione che grava sugli abitanti per aver osato sfidare gli dei.
L’opera, presentata in anteprima nella sezione della settimana della critica della 75ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, è stata la prima produzione indiana ad essere proiettata in racconto contesto. Il successo critico è stato immediato, con apprezzamenti per la sua estetica visiva, la profondità narrativa e l’originalità. “Tumbbad” ha inoltre partecipato a numerosi festival internazionali, tra cui il Fantastic Fest, il Sitges Film Festival e il Brooklyn Horror Film Festival, consolidando la sua reputazione a livello globale.
La gestazione del film è stata complessa e travagliata. Rahi Anil Barve ha iniziato a lavorare alla sceneggiatura nel 1997, ispirato da una storia raccontata da un amico e originariamente scritta dallo scrittore marathi Narayan Dharap. Dopo anni di tentativi falliti e riscritture, le riprese iniziarono nel 2012, ma il risultato non soddisfece Barve e Shah, portandoli a rigirare l’intera pellicola. Questo processo è durato fino al 2015, quando le riprese sono finalmente terminate. Un impegno che ha ripagato con un’opera che si distingue per la sua qualità visiva e narrativa.
Oltre a essere un film horror, “Tumbbad” è una riflessione sul capitalismo e sull’avidità che può consumare l’animo umano. Il tesoro di Hastar, rappresentato da monete d’oro, diventa una metafora della ricchezza che corrompe e distrugge tutto ciò che tocca. Vinayak, inizialmente mosso dal desiderio di sfuggire alla povertà, si trasforma gradualmente in un uomo consumato dalla brama di accumulare sempre più oro, anche a costo della propria umanità e della sua stessa famiglia. Questo tema trova universale risonanza nel contesto storico dell’India pre- e post-indipendenza, ma può essere esteso a qualsiasi società in cui l’avidità e la disuguaglianza sociale giocano un ruolo dominante.
La rappresentazione di Tumbbad come villaggio maledetto, perennemente avvolto da una pioggia incessante e dominato dall’oscurità, diventa un personaggio a sé stante, un luogo in cui il tempo sembra essere fermato, intrappolato in una maledizione eterna. Gli abitanti, ormai dimenticati dal mondo esterno, sono vittime e complici di una condizione che li ha condannati all’oblìo. Questa ambientazione claustrofobico e alienante riflette l’animo dei protagonisti, imprigionati in una spirale di desiderio e perdizione.
Il film ha ottenuto un successo significativo al botteghino, considerando il modesto budget di produzione, guadagnando un totale di ₹154 milioni. Tuttavia, il vero trionfo di “Tumbbad” risiede nel suo impatto culturale e nel seguito di culto che ha sviluppato. È stato lodato per la sua audacia e per aver aperto nuove strade nel cinema indiano, unendo magistralmente tradizione e innovazione, con uno sguardo che non ha paura di esplorare i lati più oscuri dell’animo umano.
“Tumbbad” non è solo un film horror, ma un’opera che trascende i generi, offrendo una riflessione profonda e inquietante sulla natura dell’avidità e sulle conseguenze delle azioni umane. Rahi Anil Barve, insieme al suo team creativo, ha creato un capolavoro che rimarrà nella storia del cinema indiano come un esempio brillante di come il fantastico e l’orrore possano essere utilizzati per raccontare storie universali e senza tempo. Una visione imperdibile per chiunque ami il cinema che osa esplorare territori inesplorati, tra realtà e mito, tra luce e ombra.
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