Negli ultimi anni, l’intelligenza artificiale è diventata protagonista di dibattiti e discussioni, ma, forse, troppo spesso viene messa sotto i riflettori a discapito di un’altra intelligenza che, pur essendo il nostro punto di partenza, è ancora circondata da mistero e confusione: quella umana. Se da un lato la AI è oggetto di mille teorie e speculazioni che spesso non vanno oltre una comprensione superficiale, dall’altro l’intelligenza umana, pur essendo alla base di tutte le nostre scoperte e innovazioni, viene trattata in modo altrettanto approssimativo, avvolta da luoghi comuni difficili da smantellare.
Quando si parla di intelligenza, una delle prime cose che ci viene in mente è il QI, il famigerato Quoziente Intellettivo, che viene spesso usato come parametro per definire i “geni” della storia, da Leonardo Da Vinci a Isaac Newton, fino ad arrivare a Albert Einstein. Ma c’è un dettaglio che non molti sanno: questi personaggi storici non hanno mai fatto un test del QI. Eppure, ancora oggi, ci affidiamo a questi numeri per dare una misura alle capacità cognitive delle persone. Eppure, se andiamo a fondo, il test del QI è tutt’altro che una scienza perfetta.
Introdotti nei primi anni del Novecento, i test del QI furono sviluppati per misurare il cosiddetto quoziente d’intelligenza, un termine coniato dallo psicologo tedesco William Louis Stern. Nel corso dei decenni, questi test sono stati perfezionati, ma non senza suscitare critiche. Questi strumenti si basano su una serie di prove che vanno dalla memoria al ragionamento, dall’abilità linguistica alla capacità di risolvere problemi. Nonostante l’apparente precisione, i test del QI presentano ancora oggi delle limitazioni. Ad esempio, è facile trovare online test che promettono di misurare il nostro QI attraverso una serie di domande, ma questi punteggi non sono altro che indicazioni generiche. Il punteggio medio si aggira intorno a 100, con la maggior parte delle persone che ottiene un risultato tra 85 e 115, ma il valore di questi test è limitato, soprattutto quando si allontanano dalla media.
Uno dei principali problemi dei test del QI è che non sono del tutto affidabili quando si tratta di misurare i punteggi estremi. Infatti, se da un lato un punteggio molto basso può segnalare una difficoltà cognitiva, dall’altro un punteggio molto alto non è necessariamente indice di genialità. Un esempio lampante viene dallo studio condotto da Lewis Terman, che nel 1921 selezionò un gruppo di bambini con un QI molto alto per osservarne l’evoluzione. I risultati furono sorprendenti: nessuno di loro si distinse in modo eccezionale nel corso della vita. Alcuni non riuscirono a conseguire una laurea, altri non ebbero carriere di successo. Anzi, alcuni, nonostante avessero punteggi superiori a 180, non raggiunsero mai la fama o il riconoscimento pubblico.
In effetti, tra quelli esclusi dallo studio di Terman ci furono esempi di grande successo, come il fisico Luis Walter Álvarez e l’inventore William Shockley, che vinsero il premio Nobel per la Fisica. A loro si aggiungono Yehudi Menuhin e Isaac Stern, che divennero due dei più grandi violinisti della storia. Questi esempi dimostrano che l’intelligenza non si misura solo con un numero e che il successo, così come la genialità, non è strettamente legato al punteggio ottenuto in un test di QI.
Inoltre, la variabilità dei risultati è un altro aspetto da tenere in considerazione: un punteggio ottenuto in un determinato momento o con un certo tipo di test può non rispecchiare pienamente l’intelligenza di una persona. Ecco perché, a partire dagli anni ’70, la psicologia ha iniziato a prendere più seriamente la teoria delle intelligenze multiple, formulata da Howard Gardner. Secondo questa teoria, esistono diverse tipologie di intelligenza che vanno dalla linguistica a quella logico-matematica, passando per l’intelligenza spaziale, sociale, musicale e persino introspettiva.
Dunque, sebbene il test del QI possa fornire un’indicazione utile sulla media della popolazione, non dovrebbe mai essere visto come un indicatore assoluto di intelligenza o genialità. E non è un caso che oggi la maggior parte della comunità scientifica consideri questi test come strumenti ormai obsoleti e poco affidabili, dal momento che l’intelligenza umana è vista come un’entità in continua evoluzione, che dipende tanto dalla genetica quanto dall’ambiente sociale e dall’educazione ricevuta. Tuttavia, esistono casi in cui il QI può ancora rivelarsi utile, come nel caso di disturbi dell’apprendimento o nel contesto di diagnosi di ADHD, ma anche in questi casi la valutazione non è un giudizio definitivo. In definitiva, l’intelligenza umana è un concetto complesso e multiforme, che non può essere ridotto a un semplice punteggio su un test.