Un viaggio in macchina verso il mare tra quattro sconosciuti, tutti under 40, tutti HIV+, per scoprire le loro vite e raccontare a volto e cuore scoperti cosa significhi avere l’HIV oggi, in un’epoca che vede possibile convivere con il virus e condurre vite normali ma che vede ancora le persone infette vittime di un enorme stigma sociale. È il contenuto di Positivə – 40 anni di HIV in Italia, documentario indipendente che, in chiave pop, accende i riflettori su una nuova generazione di persone HIV+ che non vuole più nascondersi.
Il lungometraggio, realizzato con la regia del giovane talento Alessandro Redaelli, si immerge, per la prima volta in Italia senza censure su volti e voci, nelle vite di una mamma milanese e di un papà pistoiese, entrambi eterosessuali, di una ragazza transgender e di un ragazzo omosessuale per far emergere, con linguaggi freschi e leggeri, il gap di comunicazione che si è generato negli ultimi decenni, portando un’intera generazione di giovani a conoscere poco o nulla di un virus che oggi colpisce oltre 130.000 italiani. Così come delle moderne terapie in grado di azzerarne gli effetti e impedirne il contagio.
Positivə, realizzato dalle case di produzione Peekaboo e UAU e scritto da Elena Comoglio, Francesco Maddaloni e Ruggero Melis, conserva nel suo immaginario il ricordo della narrazione sul virus negli anni ’90 come appannaggio di omosessuali e tossicodipendenti, ma i rivolge anche ad un pubblico di giovanissimi, che dell’HIV non ha alcuna memoria.
Ad intervallare l’osservazione della quotidianità dei protagonisti e i loro scambi durante il viaggio, compaiono materiali inediti tratti dagli archivi delle associazioni che hanno combattuto il diffondersi dell’HIV tra gli anni ’80 e ’90 in prima linea, come ANLAIDS e ASA, e le testimonianze di personaggi e attivisti che hanno fatto la storia di questa malattia, quali Oliviero Toscani, Jo squillo e Loredana Berté, oltre al finalista del Premio Strega Jonathan Bazzi, dichiaratamente HIV+, Rosaria Iardino, la ragazza baciata sulla bocca dall’immunologo Fernando Aiuti in una storica fotografia del ‘91 che ha cambiato la percezione dell’AIDS, e l’infettivologo Massimo Cernuschi del San Raffaele di Milano, impegnato nello studio della malattia fin dai primi anni di diffusione sul territorio nazionale.
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