Nel cuore della Bassa Sassonia, nel lontano 1284, emerse una figura enigmatica che avrebbe scosso le fondamenta della città di Hamelin. Un uomo misterioso, vestito di un mantello variopinto che sembrava quasi riflettere i colori delle tenebre, si presentò con una proposta tanto singolare quanto inquietante: avrebbe liberato la città da una terribile infestazione di ratti e topi in cambio di una somma di denaro. Il suono del suo flauto, come un richiamo dal diavolo stesso, avrebbe messo in moto eventi che ancora oggi raccontano una storia di vendetta e mistero.
Gli abitanti di Hamelin, tuttavia, non mantennero la parola data. Incapaci di comprendere la gravità del patto, rifiutarono di pagare l’uomo, che, furioso per l’inganno, si presentò ancora una volta il 26 giugno dello stesso anno, il giorno di San Giovanni e San Paolo. Ma questa volta non era più il suonatore gentile che li aveva convinti con il suono del suo flauto. Il suo aspetto era mutato, e ora indossava un cappello rosso che non lasciava dubbi: il diavolo, o almeno la sua ombra, si celava dietro quella figura.
Come in un incubo senza ritorno, il pifferaio iniziò a suonare la sua melodia. Non più un canto di speranza, ma una sinfonia di sventura. Al suono di quelle note, 130 bambini e bambine della città seguirono il suonatore attraverso la porta orientale e scomparvero nell’oscurità della notte, sprofondando in una grotta senza ritorno. Solo tre sopravvissero: un piccolo bambino che aveva dimenticato la sua giacca, e due ragazzi, uno cieco e uno muto, rimasti indietro, incapaci di raccontare l’orrore di quanto avevano visto.
E i bambini? La leggenda vuole che riapparvero in una terra lontana, in Transilvania, dietro quella grotta che si apriva nel buio della storia.
La narrazione che i fratelli Grimm, nel 1816, portarono alla luce nel loro celebre volume di fiabe, ci parla di una storia che affonda le radici nel Medioevo. Ma quanto di essa è veramente storia, e quanto invece è frutto della fantasia popolare? Dietro le ombre che avvolgono il racconto, si cela un evento storico oscuro che ha viaggiato attraverso i secoli, trasformandosi e arricchendosi di dettagli sempre più inquietanti.
Le prime tracce della leggenda risalgono al 1300, quando la vetrata della chiesa del mercato di Hamelin ritrasse un uomo con uno strumento musicale e una lunga fila di bambini. Ma non c’erano topi in quella rappresentazione, né segni di devastazione. Fu solo più tardi, nel 1559, che il conte Froben von Zimmern, nelle cronache della sua famiglia, menzionò l’invasione dei ratti, che avevano ridotto il raccolto a una miseria. In un tempo in cui la peste non era ancora conosciuta, i topi erano temuti per la loro capacità di distruggere i raccolti e di minacciare la sopravvivenza stessa di interi villaggi.
Eppure, al di là di queste minacce tangibili, la figura del pifferaio sembra essere quella di un cacciatore di topi, ma uno che, diversamente dalle figure marginali di quei tempi, non si limitava a utilizzare trappole o veleni. No, lui suonava un flauto, un suono incantato che, in un mondo medievale permeato dalla superstizione, poteva assumere il potere di attrarre, manipolare e, alla fine, punire.
Ma l’elemento che lega questa leggenda alla realtà è forse ancora più oscuro: la carestia che colpì Hamelin nel 1284. Gli storici sono concordi nel dire che, in quell’anno, la città fu colpita da una fame devastante, causata appunto dai ratti che distrussero i raccolti. Gli uomini morirono, ma c’erano anche altri segnali di un cambiamento imminente: la terra di Hamelin, impoverita, si svuotava delle sue giovani generazioni. La migrazione verso l’est era già cominciata, spinta dalla promessa di una nuova vita nelle terre lontane della Transilvania, sotto il regno di Ladislao IV d’Ungheria.
Ecco, forse, la vera chiave della leggenda. Il pifferaio potrebbe essere stato un reclutatore, uno che, con il suono del suo flauto, radunava i giovani, li attirava verso l’ignoto, verso una vita nuova e migliore. Il suo abbigliamento sgargiante e la sua figura misteriosa non erano altro che il simbolo di un cambiamento radicale, di un destino che si consumava nelle pieghe della storia.
A confermare questa teoria, un elemento che, per quanto bizzarro, non può passare inosservato: il toponimo di una regione della Transilvania, Siebenbürgen, che in tedesco significa “sette borghi”. Un nome che sembrerebbe richiamare direttamente Hamelin, la cui influenza geografica sembrava estendersi ben oltre i suoi confini.
Nel cuore del XVII secolo, il gesuita Athanasius Kircher cercò di risolvere il mistero di questa storia, collegando la leggenda a eventi storici ben più ampi. Ma fu solo con l’opera di Johann Gottfried Gregorii, nel secolo successivo, che la storia del pifferaio venne definitivamente incastonata nella tradizione letteraria tedesca, diffusa da Goethe e da altri autori romantici.
La leggenda che oggi conosciamo, quella che ci racconta di un uomo che con il suono del suo flauto cattura i bambini, è figlia di un mondo che amava costruire storie dai frammenti della realtà. Un mondo che, proprio come nel mito, mescolava la paura, la superstizione e la speranza. E, forse, in fondo alla grotta di Hamelin, in quella regione oscura tra realtà e leggenda, ancora oggi possiamo sentire, lontano, il suono di un flauto che ci richiama verso un destino sconosciuto.
Così, anche se nessuno di noi potrà mai davvero sapere cosa accadde quella notte, la leggenda del pifferaio magico rimane un’ombra inquietante che si staglia nel cuore del folklore medievale, un racconto che continua a vivere nelle tenebre del tempo.
Fonte: storicang it .