Mobile Suit Gundam fu ideata da Yoshiyuki Tomino insieme al gruppo creativo della Sunrise che utilizzava lo pseudonimo Hajime Yatate con l’intenzione di presentare una serie robotica molto realistica, incentrata su un tema specifico introdotto da un interrogativo di fondo: perché gli uomini continuano a farsi la guerra?
Proprio la prima serie televisiva rappresenta un punto di svolta nella storia degli anime e dei manga robotici, in quanto capostipite del sottogenere dei cosiddetti real robot.Esso differisce da quello precedentemente in voga dei super robot per diversi aspetti stilistici e tematici, quali la verosimiglianza tecnologica e la complessità della trama sotto il profilo morale, che pure si riscontrano in embrione già in una precedente opera di Tomino, la serie Muteki Chojin Zanbot 3 (Zambot 3), prodotta sempre dalla Sunrise. Sotto il primo profilo, almeno nelle prime opere ambientate nell’Universal Century, tutti i mezzi sono trattati come macchine “vere”, che necessitano di energia, munizioni e riparazioni in caso di danni o malfunzionamento. La tecnologia è verosimile ed implica nozioni scientifiche, come i punti di Lagrange, i cilindri di O’Neill come ambiente di vita nello spazio, e la produzione di energia basata sul ciclo di fusione nucleare dell’elio 3. I mobile suit (“armature mobili”, generalmente abbreviati in MS) sono macchine antropomorfe multiuso ai comandi in genere di un singolo pilota. Ogni mezzo è realistico, si può sporcare, danneggiare, rompere od esplodere, ed è provvisto di una sigla di identificazione o numero di serie come un qualunque mezzo militare (per esempio il Gundam della prima serie è contrassegnato dalla sigla RX-78-02).
Ma, al di là del realismo tecnologico ampiamente sottolineato, l’innovazione forse più importante, introdotta anche questa soprattutto con le serie ambientate nell’Universal Century ed in parte ripresa da quelle della Cosmic Era, sta invece proprio nello spostamento dell’attenzione dalle macchine ai personaggi, cosa che segna maggiormente la differenza con le serie dei “super robot” alla Go Nagai, dove un eroe “buono”, spesso e volentieri identificato nel robot salvatore, deus ex machina per antonomasia, si contrappone il più delle volte ad un nemico incarnazione del male assoluto. Proprio questo tratto morale un po’ manicheo e semplicistico lascia il posto, in Gundam, ad una complessità drammaturgica in cui la stereotipata contrapposizione tra bene e male viene scardinata con il riferimento, pure questo assolutamente realistico, alla tragica avventura umana della guerra in quanto tale, che non è mai fatta da buoni contro cattivi, ma da esseri umani che, per ragioni spesso a loro estranee, sono costretti in ogni caso ad affrontare morte, distruzione ed alienazione. E di questi personaggi gli autori approfondiscono le emozioni, i sentimenti, le ambizioni e la psicologia, inquadrando il tutto in una cornice di verosimiglianza storica che tiene il passo con architetture fantapolitiche di lignaggio letterario. Conseguenza di tale impostazione è, tra l’altro, l’articolazione delle serie in puntate concatenate l’una all’altra in modo non autoconclusivo, secondo un meccanismo narrativo molto più avvincente che non quello delle precedenti serie, in cui il canovaccio di ciascun episodio si ripeteva sempre simile finché ad un certo punto il nemico veniva sconfitto e la serie terminava.
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