Oplontis, un nome che echeggia dall’antichità, si erge come una zona suburbana della celebre Pompei, sepolta anch’essa dalle implacabili ceneri del Vesuvio nell’anno fatidico del 79 d.C.. Oggi, quel territorio sommerso rivive nel cuore di Torre Annunziata, in Campania, rivelando i suoi segreti attraverso pazienti e meticolosi scavi archeologici. Questi tesori sepolti, un tempo dimore di opulenza e rifugio di quiete, ci raccontano storie di splendore e di tragedia, di vita quotidiana e di improvvisa catastrofe.
I primi a mettere mano su questi preziosi resti furono, nel Settecento, archeologi come Francesco La Vega, che, scavando cunicoli nei pressi del canale Conte di Sarno, riportarono alla luce una parte di quella che sarebbe diventata nota come la Villa di Poppea. Gli sforzi di questi pionieri furono tuttavia sospesi a causa dell’aria malsana della zona, una palude malarica che dissuadeva i più temerari. Successivamente, nel 1839, altri scavi fecero emergere il peristilio del quartiere servile della villa, ma anche questi lavori furono interrotti per mancanza di fondi.
Solo nel 1964 si avviarono scavi sistematici, che permisero di sollevare i veli del tempo dalla magnifica Villa di Poppea. Il sito, espanso e restaurato con cura, ci offre una visione vivida di quella che era una lussuosa villa d’otium. Risalente al I secolo a.C. e ampliata nel corso dell’età claudia, la villa si attribuisce a Poppea Sabina, moglie dell’imperatore Nerone, grazie a un’iscrizione dipinta su un’anfora. Le decorazioni delle sale, con affreschi in secondo stile pompeiano e tecniche di trompe l’oeil, ricreano scenari di colonnati e ambientazioni architettoniche, mentre i giardini, ricchi di ulivi e allori, completano l’immagine di un paradiso terrestre.
Un ulteriore ritrovamento avvenne nel 1974, durante i lavori per la costruzione di una scuola. A circa 250 metri dalla Villa di Poppea, un altro edificio affiorò dal suolo: la Villa di Lucius Crassius Tertius, o Villa B. Questa villa rustica, con il suo peristilio centrale e le stanze adibite a magazzini, ci racconta di una vita più pratica e agricola rispetto alla fastosità della vicina villa d’otium. Al momento dell’eruzione, la villa era abitata, come testimoniato dai corpi di 54 individui trovati nelle stanze adiacenti, accanto a gioielli e monete – gli Ori di Oplontis – che ci parlano di vite spezzate all’improvviso.
Oplontis non era solo ville e residenze di lusso. Durante gli scavi, emerse anche una struttura termale, le Terme del console Marco Crasso Frugi, risalente al 64 d.C. I ruderi di queste terme sono visibili lungo la via litoranea Marconi e all’interno delle attuali Terme Vesuviane, un moderno complesso termale fondato nel 1831. Queste antiche terme, come le altre strutture di Oplontis, sono testimonianze di una vita lussuosa e raffinata, interrotta bruscamente dalla furia del Vesuvio.
Nel 1997, il valore storico e culturale di Oplontis fu ufficialmente riconosciuto con l’inserimento nell’elenco dei patrimoni dell’umanità dell’UNESCO, insieme a Pompei ed Ercolano. Questo riconoscimento non solo preserva le rovine per le future generazioni, ma permette anche a un pubblico globale di immergersi nella vita quotidiana di un’epoca lontana.
Oplontis continua a rivelare i suoi segreti. Ogni nuova scoperta aggiunge un tassello al mosaico di storia che stiamo ricostruendo, pezzo dopo pezzo. I visitatori del sito, che nel 2023 hanno superato i 50.000, possono oggi camminare tra i resti delle ville, immaginando il fruscio delle tuniche, il profumo dei giardini, e il mormorio delle fontane che una volta popolavano questi luoghi.La Villa di Poppea, con i suoi affreschi dettagliati e i mosaici raffinati, offre un viaggio visivo nel passato, dove si possono ammirare le raffigurazioni di scene mitologiche e nature morte. La grande piscina della villa, una volta adornata con statue di marmo, evoca immagini di feste sontuose e momenti di relax sotto il sole caldo della Campania.La Villa di Lucius Crassius Tertius, con i suoi magazzini pieni di pelli e melograni, e il fornello in pietra usato per la manutenzione delle anfore, ci racconta invece di una vita legata alla terra e ai suoi frutti. La presenza delle botteghe, con le abitazioni al piano superiore, suggerisce un’attività commerciale vivace e dinamica.
Infine, la scoperta della Villa di Caio Siculi durante gli scavi per la costruzione della strada ferrata, e il successivo trasporto dei reperti al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, evidenzia l’importanza di Oplontis come centro di vita e cultura, nonostante le sue dimensioni relativamente modeste rispetto a Pompei.
Oplontis, con le sue storie di opulenza e distruzione, di vita quotidiana e di catastrofi naturali, rappresenta un frammento prezioso del vasto affresco della storia romana. Le sue rovine, silenziose ma eloquenti, continuano a parlare a chi sa ascoltare, raccontando di un tempo in cui la vita scorreva tranquilla all’ombra del Vesuvio, ignara del destino che stava per abbattersi su di essa.
Foto di AlMare
Aggiungi commento