Nel novembre 2023, Netflix ha rilasciato Onimusha, una miniserie che ha suscitato grande attesa tra i fan dei videogiochi, basata sull’omonimo franchise di Capcom. Con una produzione di alto livello e una direzione artistica che prometteva di portare sul piccolo schermo l’affascinante mondo del Giappone feudale mescolato a elementi fantasy e mitologici, Onimusha aveva tutte le premesse per essere una serie epica. Eppure, nonostante le potenzialità, il risultato finale non è riuscito a soddisfare pienamente le aspettative.
Ambientato all’inizio del periodo Edo, Onimusha segue le avventure di un anziano Miyamoto Musashi , il leggendario spadaccino giapponese, impegnato in una missione per sconfiggere i demoni che minacciano il suo paese. Con il potente “Guanto di Oni” che gli conferisce abilità straordinarie, Musashi intraprende un viaggio che lo vede accompagnato da un gruppo di guerrieri e saggi. Nonostante il contesto ricco di potenziale, la trama finisce per perdersi in un limbo di clichè narrativi e una caratterizzazione debole, che rende difficile appassionarsi alla figura del protagonista.
Musashi, infatti, appare più come un guerriero disilluso che si limita a risolvere ogni conflitto con la sua spada, senza mai esplorare profondamente la sua psicologia o il suo ruolo centrale nella storia. Il suo viaggio sembra vuoto, come se il potenziale emotivo fosse sacrificato a favore di una narrazione troppo filosofica e riflessiva. Eppure, sorprendentemente, i comprimari risultano più interessanti di lui, con caratterizzazioni più sfumate e coinvolgenti, che catturano maggiormente l’attenzione dello spettatore.
La regia di Shinya Sugai e la supervisione di Takashi Miike: Un’opera che non decolla
La serie è diretta da Shinya Sugai, già noto per il suo lavoro su Dragon’s Dogma (sempre tratto da un videogioco Capcom), e con la supervisione artistica di Takashi Miike, uno dei registi più influenti del cinema giapponese, famoso per la sua capacità di mescolare violenza, cultura popolare e filosofia in opere disturbanti e potenti. Con nomi di tale calibro coinvolti, ci si aspetterebbe un adattamento che trascenda i limiti del formato videoludico, ma purtroppo Onimusha non riesce a brillare come ci si sarebbe aspettati.
La regia, pur essendo tecnicamente solida, non riesce a dare ritmo alla serie, e la sceneggiatura, pur ambiziosa, non riesce a sviluppare appieno la potenza emotiva che la premessa suggerirebbe. L’analisi filosofica e i dialoghi riflessivi non riescono mai a coinvolgere appieno, risultando ridondanti e spesso poco emozionanti. Il conflitto tra Musashi e i demoni, che avrebbe dovuto essere il cuore pulsante della serie, appare più teorico che reale, e il pericolo che dovrebbe minacciare il protagonista non viene mai concretizzato, rendendo la tensione inesistente.
Motion capture e sfondi da dipinto, ma azione deludente
Dal punto di vista visivo, Onimusha tenta di distinguersi con un approccio innovativo grazie all’uso del motion capture per le animazioni dei personaggi. Questo tipo di tecnologia, che tende a restituire movimenti più fluidi e realistici rispetto alle animazioni tradizionali, funziona bene nell’adattamento ma non sempre convince. La caratterizzazione dei personaggi, seppur realistica, manca di quella vitalità che gli anime tradizionali sanno trasmettere. In compenso, gli sfondi disegnati a mano sono un vero e proprio capolavoro, ricchi di dettagli e profondità che rendono ogni scena visivamente affascinante. Tuttavia, l’impressione è che l’aspetto visivo sia stato curato più del ritmo narrativo, con un contrasto tra la bellezza degli ambienti e la staticità delle situazioni.
Il grande difetto della serie, però, risiede nelle scene di azione. In una storia che promette battaglie epiche e scontri tra Musashi e mostri demoniaci, la coreografia dei combattimenti risulta troppo breve e poco coinvolgente. Le sequenze di combattimento, purtroppo, non trasmettono la frenesia e l’intensità che ci si aspetterebbe da un adattamento videoludico come questo. Il Guanto di Oni, che dovrebbe essere un elemento centrale, viene trattato troppo superficialmente, senza mai esplorare appieno il suo potenziale magico.
Un epilogo inconcludente
Nonostante qualche tentativo di risollevare la situazione nei capitoli finali, la serie non riesce mai a decollare veramente. I combattimenti più intensi e qualche colpo di scena cercano di ravvivare la narrazione, ma la sensazione di un pastrocchio di cliché e scelte narrative illogiche resta. Lo scontro finale, che dovrebbe chiudere il cerchio, finisce per confondere lo spettatore piuttosto che emozionarlo, lasciando più domande che risposte.
Un’opera con un grande potenziale, ma che non decolla
Il lato positivo di Onimusha risiede nel suo tentativo di immergere lo spettatore nel folklore giapponese, con influenze delle leggende e storie popolari che arricchiscono l’atmosfera. Sebbene questo approccio possa risultare interessante per gli appassionati della cultura nipponica, anche qui la serie non riesce a sviluppare completamente il suo potenziale. L’ambientazione storica e le creature mitologiche appaiono come sfondi a una trama che, troppo spesso, si perde in riflessioni filosofiche e in una scarsa azione. Onimusha lascia un po’ di amaro in bocca. Le premesse per un prodotto di alto livello c’erano tutte: l’ambientazione, la regia, il cast. Purtroppo, la serie non riesce a mantenere le promesse, limitandosi a una narrazione action-fantasy abbastanza canonica e poco avvincente. Se siete fan del folklore giapponese o dei videogiochi Onimusha, potreste trovare qualche spunto interessante, ma se cercate un’epica battaglia tra il bene e il male, con un Musashi realmente affascinante, rischierete di rimanere delusi. Un’occasione sprecata per un adattamento che avrebbe potuto essere ben più di un semplice prodotto di intrattenimento.
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