Con un tratto semplice e immediato prende vita Ofelia, il più grande successo a fumetti argentino dopo Mafaldae Maitena. Ofelia è una donna intrappolata nel corpo di una ragazza che riflette sulla vita, sulle relazioni con gli uomini, i canoni della bellezza attuale, la violenza di genere, le nuove tecnologie e la solitudine dell’essere. Ofelia nasce sul web e diventa virale grazie a Facebook e Instagram. Ha migliaia di fan in tutto il mondo. E’ drammatica, analitica, esagerata, sensibile e innocente. Si arrabbia poco, ma si arrabbia. Trova le risposte alle domande che si fanno le donne, anche se in realtà quelle risposte sono sempre state dentro di loro.
Con Ofelia l’artista Julieta Arroquy, che comincia a disegnare all’età di 32 anni, riflette sull’universo femminile, visto attraverso i suoi luoghi comuni, e diventa una voce fresca che analizza con licenza estetica il disincanto di una generazione, le cronache dell’indifferenza, in amore e in altri mondi.
Con i suoi commenti rinfrescanti sui conflitti delle giovani donne nell’era delle e-mail, dei messaggi di testo e di Facebook, Ofelia è la nuova eroina del fumetto. In nove piccole immagini per pagina (che a volte diventano una, come una sorta di “cartoline”) ci racconta tutta una storia: che sia l’insensibilità, l’autostima o i modi imponderabili della vita, Ofelia ci sorprenderà e ci farà ridere con i suoi veri dilemmi esistenziali e la sua audace visione di se stessa e del mondo attorno a lei.
Julieta Arroquy è nata a Bahía Blanca nel 1974 e vive a Buenos Aires. Ha compiuto studi sui media, poi ha lavorato come giornalista per diverse stazioni radio e agenzie. Per un “incidente del destino” è diventata una vignettista per la rivista Ohlalá. Ha anche creato la sua collezione di borse e pantofole dipinte. Nel 2011, ha inventato Ofelia e ha iniziato a pubblicare i suoi fumetti su diverse riviste internazionali. Ofelia ha ottenuto più di 100.000 “mi piace” su Facebook e la sua autrice è entrata a far parte della schiera dei grandi autori umoristici argentini (Quino, Liniers e Maitena).
Julieta Arroquy ha così descritto la sua protagonista: “Chi è Ofelia? Questa domanda è sempre difficile, il tempo passa e ogni volta trovo più difficile definirlo perché Ofelia sta cambiando. Oggi non è la stessa dell’inizio, si evolve con me. Posso dire che è una donna che sembra graficamente una ragazza, e si preoccupa dei problemi umani, dei legami e della dialettica tra uomini e donne. È sensibile, analitica, esagerata, innocente. Le convenzioni sociali e le etichette la infastidiscono, si preoccupa della mancanza di empatia e della trasformazione in un’epoca in cui i collegamenti sono mediati dalla tecnologia. È abbastanza sveglia, penso. Ha il corpo di una ragazza ma pensa come una donna, e si arrabbia un po’, ma si arrabbia. Cerca risposte alle sue domande, anche se poi quelle risposte le ritrova dentro se stessa. Perché in Ofelia è il dialogo interiore che diventa protagonista. Questo mi consente un altro livello di analisi per parlare, ad esempio, dell’esistenza o meno di Dio, del legame tra padre e figlia, della sessualità, della tratta di esseri umani e della violenza di genere. Aspiro a scappare dal luogo delle mie ferite e a cercare di capire l’incomprensione, che considero uno dei problemi più grandi della mia generazione. Per le mie storie uso come materia prima i discorsi con gli amici e le coppie, letture, testi, film e persino passaggi della Bibbia”.
Sulle relazioni e sugli uomini: disegnare come atto terapeutico secondo l’autrice: “Quando non abbiamo un partner, sembrerebbe che qualcosa non va. Questo atteggiamento è ridicolo e completamente culturale. Ho lavorato come giornalista ma la mia carriera, a un certo punto, è andata sottosopra. A trentadue anni, e dopo una breve relazione che non si è chiusa nel modo migliore, il disegno ha funzionato per me come una catarsi. Era come il vomito di una tristezza che si trasformava in professione. Tutti quei discorsi tra donne, i problemi emotivi che sono più che altro nevrosi, l’abbandono, il fatto che ti lasciano, che ti trattano come un pezzo di carne sono confluiti nel mio lavoro di disegnatrice. Gli uomini sono più isterici e fobici di noi donne. E noi dobbiamo essere qualcosa di più del maschio che si fa strada sulla pista da bowling e sceglie te. Per me 40 anni sono i nuovi 30, ma abbiamo ancora così tanto da fare, siamo quasi alla pari e gli uomini devono imparare ad essere molto più che semplici fornitori biologici”.
Sulla sua generazione Julieta Arroquy dichiara: “Penso che i nostri problemi siano in parte legati ai nostri primi anni di genitorialità, che sono stati attraversati dalla dittatura. Ci siamo attorcigliati e ora abbiamo dubbi su dove andare, cosa fare: faccio la freelance o lavoro in azienda? Vado in campagna o rimango ad abitare in città? La mia è una generazione che si spaventa e si preoccupa”.
Sul capolavoro trangenerazionale Mafalda di Quino, l’autrice riporta: “Curiosamente, i miei genitori non mi hanno mai comprato Mafalda. L’ho letto a casa dei miei cugini, ed è lì che l’ho scoperta. Avevo otto o nove anni e non capivo del tutto il suo umorismo o perché la sua tartaruga si chiamasse Burocrazia. Sono tornata a rileggerlo ed è stato meraviglioso. Ho sviluppato una grande ammirazione per Quino, non solo per le strisce di Mafalda, ma per i suoi altri libri di umorismo grafico. Libri dove ha affrontato temi come il potere e la Chiesa cattolica con grande senso dell’umorismo. Non so quello che potrebbe accadere a Ofelia tra cinquant’anni: credo, tuttavia, che finché i suoi libri continueranno a circolare, c’è speranza che se la ricorderanno. Ofelia si dice figlia del suo tempo, quindi le battute legate ai social network o alle emozioni potrebbero non funzionare tra mezzo secolo. Penso, invece, che le battute di Quino funzionino tuttora, perché le sue critiche alla disuguaglianza sociale, all’imperialismo o all’educazione continuano ad essere ancora valide”.
Sito web: www.001edizioni.com
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