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Nascita e futuro del Cosplay

Il Cosplay (costume – play) è una tradizione giapponese nata agli inizi degli anni 80 dopo il successo di serie Tv (come Gundam) e la diffusione sempre maggiore di Manga, termine usato per identificare il fumetto nipponico. Questo fenomeno è da ricollegare all’antica tradizione del travestimento medievale giapponese. Il cosplay è la pratica che consiste nell’indossare un costume e interpretare il personaggio in questione; poiché il fenomeno nasce in Giappone, la maggior parte dei cosplayers preferisce rifarsi a personaggi della tradizione manga, ma non è raro che la scelta finisca anche su personaggi di videogiochi (Final Fantasy) o di serie tv di supereroi (occidentali). Facendo parte di un gruppo i cosplayers si sono da subito “regolamentati” su alcuni aspetti essenziali: primo tra tutti, maggiore è il contributo personale al vestito, più apprezzato è il cosplay; il vestito quindi può essere cucito personalmente a mano o da parenti o amici, o nel caso sia particolarmente complesso cucito da un sarto; nel caso venga acquistato di norma non viene ben visto dagli addetti ai lavori.

 

Gli appassionati, per lo più giovani in età compresa tra i 15 e i 35 anni, oltre ad interpretare nelle convention dedicate il proprio personaggio preferito, scelto per lo più in base alla simpatia del personaggio e alla facilità di reperimento del materiale per la costruzione del costume, si riuniscono anche spontaneamente per il solo piacere di fare cosplay. In Europa il fenomeno vede la diffusione, grazie anche alla fortunata serie TV “Dragon Ball” che ha aperto all’occidente il variegato mondo delle Anime giapponesi, portandolo alla diffusione di massa, verso la metà degli anni novanta: la data di riferimento, in Italia, si fa risalire alla prima fiera svoltasi a Lucca nel 1997 (“Lucca Comics & Games” ) ,dove per la prima volta ci fu una vera e propria sfilata di cosplay, ma il fenomeno era sicuramente già presente, con la differenza di non essere organizzato.
Le sfilate sono strutturate in modo da concedere ad ogni cosplay la possibilità di inscenare una performance che consiste nella posa o in una frase tipica del personaggio di fronte ad una giuria di esperti (fumettisti o per lo più cosplayers affermati). Il palco rappresenta il limite tra l’essere vestiti come il personaggio e l’essere il personaggio: il concorso infatti valuta l’interpretazione del personaggio per cui l’atteggiamento generale, come la semplice camminata per portarsi davanti alla giuria, dovrà essere quella del personaggio. Altro parametro di valutazione è la somiglianza del costume. Al giorno d’oggi il cosplay si è andato ad integrare non solo con la comunità di appassionati, ma anche con il crescente mercato di Manga e anime: esistono riviste specializzate sul cosplay, negozi che vendono tutto il necessario per i vesti, dvd con servizi fotografici,siti e pagine social dedicati in cui si scambiano consigli e ci si aggiorna per future manifestazioni, insomma un vero e proprio mercato. Esiste infatti la figura del cosplayer professionista che riesce a guadagnare come animatore alle convention, ma spesso anche come testimonial per il lancio di nuovi videogiochi.
L’universo dei cosplayer ha da subito interessato sociologi e studiosi, come la professoressa Valeriani, il professor Speroni, la professoressa Vaccari e il professor Di Fratta, Secondo la professoressa Valeriani sul concetto di Fandom. Il fandom è una sottocultura formata dalla comunità di appassionati che condividono un interesse comune in qualche fenomeno culturale. Agli inizi degli studi sociologici (anni 70) la figura del fan (dal latino fanaticus ) era connotata negativamente per la sua assoluta devozione e l’assenza della giusta distanza critica verso l’oggetto. Il merito del cambio di prospettiva e di un vero e proprio interesse riguardo al concetto di fandom è del professor Henry Jenkins ( direttore del MIT Comparative Media Studies Program ) che con il suo celebre blog Confession of an ACA-FAN (http://www.henryjenkins.org/index.html) riposiziona la figura del fan in un ambito più culturale partecipativo e senza le accezioni negative del passato.

A oggi il fenomeno è visto come un atto di creatività grassroots, ossia che nasce dal basso e si esplica per via orizzontale; il fan rilegge la realtà e gli oggetti secondo i propri interessi e desideri, è per questo che si può parlare, riprendendo il pensiero di Jhon Fiske, di economia culturale ombra, perché in parte i prodotti alimentano l’economia globale ( con i fumetti o vestiti ) e in parte l’economia propria della comunità, il fatto di far circolare questi prodotti aiuta a definire la propria identità e cultura. Un punto di contatto tra le grandi organizzazioni produttive e i fan è dato dai numerosi Fan – club che svolgono un ruolo fondamentale come Opinion makers o Pruducer e entrano di fatto a far parte delle organizzazioni.

Redazione

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