Il film di esordio di Miranda July, pluripremiato al Festival di Cannes, lascia un sapore strano. C’è chi ha scritto: “ti sentirai migliore uscendo dalla sala”. mi sento scossa, turbata, pensierosa. Migliori forse si sentono solo i personaggi. Intrecci di vita quantomeno particolari che come frammenti ritmati appaiono sullo schermo, agiscono in modo insensato, ma solo al primo istante. Questo è stato per me “Me and you”: uno scambio di espressioni incredule col mio compagno di visione che improvvisamente svaniscono nel rapimento di scene poetiche, improvvise o deliziosamente ironiche. Ridere di incredulità! Provatelo: questo film ti fa ridere di incredulità! All’inizio non capisci, ti sembra tutto assurdo, tutto ridondante -i dialoghi spesso sfiorano il surreale!- poi qualcosa si appiana, qualcosa trova il suo sentiero, poi un’altra cosa, e un’altra, e un’altra ancora, finchè alla fine del film tutto è al suo posto. Ogni personaggio è in cerca, ogni personaggio è legato a un
altro -talvolta inaspettatamente!-, ognuno si vuole, ma non si ha. In realtà è solo piacevole attesa.
Meravigliosa la colonna sonora, semplice, essenziale, riesce a fondersi nel finale, nel suo senso, nel suo scopo ultimo, probabilmente col personaggio che suscita più tenerezza. Colmo di spunti per riflessioni successive, “Me and you” stuzzica il pensiero, è un film che scuote, che ti fa uscire dalla sala in una città che non sembra più tanto quella di prima. Perché ha smosso qualcosa, forse la paura delle relazioni, forse il senso dell’amore, ma in fondo la speranza di un sorriso o di una passione. Ti verrebbe da correre in mezzo alla strada e urlare, come fanno le due ragazze -due personaggi al limite, di quelli che suscitano antipatia- che corrono come se scappassero da un aguzzino, ma scappano soltanto dalla loro idea di diventar grandi troppo presto. E solo in quel momento le capisci e ti commuovi.
Ricco di immagini evocative. Anche solo una strada, una fotografia, un paio di scarpe. Ricco di spunti geniali, situazioni paradossali accostate solo apparentemente con forza. E una leggerezza che ti invade e che si racchiude tutta negli occhi del bambino, figlio del protagonista, l’emblema di chi ha paura, ma desidera.
E’ un film insomma che va’ assaporato. Che, semplicemente, senza nessuna pretesa, smentisce piacevolmente i primi momenti di -ordinaria?- follia.
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