Era davvero necessario, dopo più di 20 anni, resuscitare Matrix? Tutto sommato la risposta è: no. Lana Wachowsky, lasciata sola dietro la macchina da presa dalla sorella Lily, cerca di rinverdire i fasti della saga creata nel 1999 riportando sullo schermo l’Eletto ma senza delle idee troppo chiare su come farlo. Matrix Resurrections non ha una personalità abbastanza definita da convincere fino in fondo.
Matrix Resurrections, il atteso quarto film dell’iconico e innovativo franchise che ha ridefinito un genere riunisce nuovamente le star Keanu Reeves e Carrie-Anne Moss negli iconici ruoli di Neo e Trinity. Il film è interpretato anche da Yahya Abdul-Mateen II (il franchise di Aquaman), Jessica Henwick (per la TV Iron Fist, Star Wars: Il Risveglio della Forza), Jonathan Groff (Hamilton, per la TV Mindhunter), Neil Patrick Harris (Gone Girl – L’amore bugiardo), Priyanka Chopra Jonas (TV Quantico), Christina Ricci (TV Escaping the Madhouse: The Nellie Bly Story, The Lizzie Borden Chronicles), Telma Hopkins (TV Amiche per la morte – Dead to Me), Eréndira Ibarra (serie Sense8, Ingobernable), Toby Onwumere (serie Empire), Max Riemelt (serie Sense8), Brian J. Smith (serie Sense8, Treadstone), e Jada Pinkett Smith (Attacco al potere 3 – Angel Has Fallen, Gotham per la TV).
E’ un po’ reboot – poichè per molti versi ricrea e ripercorre in parte la trama del primo film – è un po’ sequel, è un po’ anche un divertito gioco di metanarrazione e metacinema. La prima parte della pellicola è infatti dedicata ai fan ed ai nostalgici, ai quali strizza continuamente l’occhio proponendo flash di immagini (i ricordi di Neo), sequenze (in almeno un paio di punti vengono mostrate ai protagonisti scene prese dai precedenti tre capitoli, sovrapponendo l’azione attuale con quella passata), oggetti di scena, battute che rimandano in modo diretto (quelle sul bullet time si sprecano) o meno al primo film.
Poi cerca di prendere una strada diversa ma inciampa su una sceneggiatura troppo macchinosa costellata di spiegoni didascalici e noiosetti. Purtroppo non bastano Keanu Reeves e Carrie-Ann Moss a riportarci nel mondo di Matrix. Ai due ben noti protagonisti questa volta si affiancano Yahya Abdul-Mateen II, che raccoglie il testimone di Laurence Fishburne nel ruolo di una versione alternativa di Morpheus, Neil Patrick Harris nel ruolo dell’analista e Jonathan Groff in quello di Smith. I primi due convincono abbastanza ed è un peccato che i loro rispettivi personaggi non siano stati maggiormente sviluppati; il terzo si impegna ma fallisce nell’intento, la mancanza di Hugo Weaving si fa sentire tanto. Completano il cast Jessica Henwick (il suo personaggio mi ha fatto pensare per tutto il tempo a quello di Art3mis in Ready Player One), Priyanka Chopra Jonas, Jada Pinkett Smith, Lambert Wilson e il cast quasi al completo di Sense 8. Belle e spettacolari le scene d’azione della parte finale, anche se non aggiungono nulla di nuovo e non arrivano ai livelli di quelle (hanno fatto storia, mica per caso) del primo film.
C’è una scena dopo i titoli di coda, ma non è affatto fondamentale fermarsi fino alla fine del 148esimo minuto per vederla.
Il film è stato prodotto da Grant Hill, James McTeigue e Lana Wachowski. I produttori esecutivi sono Garrett Grant, Terry Needham, Michael Salven, Jesse Ehrman e Bruce Berman. Il team creativo scelto da Wachowski dietro le quinte comprende i collaboratori di Sense8: i direttori della fotografia Daniele Massaccesi e John Toll, gli scenografi Hugh Bateup e Peter Walpole, il montatore Joseph Jett Sally, la costumista Lindsay Pugh, il supervisore agli effetti visivi Dan Glass e i compositori Johnny Klimek e Tom Tykwer.
Da ora in poi eviterò tutte le recensioni (come questa) che recano il tristissimo e fighetto prefisso “meta-“. Lo so che fa pseudo-intellettuale, ma ne ho abbastanza.