L’orologio a sei ore

Una curiosità si nasconde nel cortile di Palazzo del Commendatore, dal seicento sede del complesso di Santo Spirito che comprende sia l’ospedale che la chiesa. Sul tetto, proprio di fronte all’entrata, si staglia contro il cielo un singolare orologio che risale al 1827, un orologio rovinato che ha un’unica, buffa lancetta a forma di salamandra e, come tutti i quadranti degli orologi di altre chiese e storici edifici romani, segna soltanto i numeri da uno a sei, oggi in parte cancellati dalle intemperie.

La spiegazione è semplice: fino alla metá dell’Ottocento il tempo a Roma si misurava in “ore italiane”. Il nuovo giorno iniziava sempre al tramonto e, cosí per la lunghezza delle ore, variava a seconda delle stagioni. Si trattava di una forma di misurazione che non si attendeva ad un sistema metrico uniforme, bensí alle esigenze della vita quotidiana della gente di allora. Al tramonto risuonavano le campane delle chiese e tra le loro mura, i fedeli cantavano l’Ave Maria. All’alba le campane suonavano presto, e i contadini, gli artigiani i religiosi e persino i nobili iniziavano il nuovo giorno pregando. Quando il sole toccava il punto piú alto era tempo di mangiare qualcosa, e quando iniziava ad imbrunire, ci si avviava verso casa.

Nel 1798, dopo la proclamazione della Repubblica Romana, ci fu un primissimo tentativo di adeguare le ore al sistema in uso nel resto d’Europa, dove i giorni iniziavano a mezzanotte ed erano suddivisi in ventiquattro ore di sessanta minuti ciascuna, ma già nel 1799, dopo la caduta della Repubblica, i romani tornarono al loro metodo tradizionale. Fu papa Pio IX, a metà Ottocento, a imporre per primo la nuova misurazione del tempo.

di Annarita Sanna

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