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Lontano dagli occhi: la storia di Patrizio Severino

Lontano dagli occhi, lontano dal cuore. Lontano dalla vita, quella che sfreccia in macchina sui lungotevere o che si diverte il sabato sera su una pista da ballo. Patrizio è vivo, ma il senso della sua vita oggi stenta decisamente a trovarlo. Patrizio Severino ha 45 anni, si è laureato in chimica con uno dei più insigni professori d’Italia (quel Giuseppe del Re al cui nome, se scritto in un qualsiasi motore di ricerca, corrispondono migliaia di pagine web), è stato borsista per due anni all’Istituto di Chimica Quantistica del CNR a Pisa, e al Centro per la ricerca, lo sviluppo e gli studi avanzati di Cagliari, presieduto dal Nobel Carlo Rubbia, ed ha vinto nel 1992 una borsa di studio di 21 mesi della Commissione Europea che gli ha permesso di andare a lavorare e studiare in Giappone, all’Institute of Molecular Science di Okazaki.
 

 
 

Ora Patrizio è un homeless, un clochard, un senza fissa dimora; tutti termini politicamente corretti, ma che rimandano pur sempre ad una realtà che di corretto ha ben poco: Patrizio oggi è un barbone. È un barbone distinto, con quegli occhi chiari e quella parlata napoletana che ha del signorile, che trasuda cultura. È un uomo che in Giappone si è innamorato di una ragazza, Chika, e che con lei ha avuto una bambina, Ruri, che oggi ha sette anni.

 

 

Arrivato nel paese del Sol Levante Patrizio ottiene ottimi risultati ma, esasperato e meravigliato di non riuscire ad ottenere una cattedra universitaria in Italia (nonostante un curriculum di tutto rispetto), arriva a proporre una legge di riforma dei concorsi universitari, troppo spesso in mano a Baroni e nepotismo, arrivando persino a pubblicare un’intera pagina a pagamento sul Manifesto del 1 dicembre 1996 (costo 8 milioni di lire) per l’abolizione “dei concorsi-farsa”, assieme ad altri colleghi riuniti nel Gruppo Ricercatori Associati pro Atenei Liberi. Una battaglia che gli costerà cara.  

 

 

Nel 1997 Patrizio si vede togliere la borsa di studio, e decide di mettersi ad insegnare italiano privatamente, a casa. Dopo due anni arrivano i primi segni di un destino avverso:  il suo matrimonio finisce e la moglie ottiene l’affidamento di Ruri, la figlia di appena un anno. Nel frattempo, in Italia, muoiono prima la madre e poi la sorella, che vivevano a Napoli, mentre il padre, separato e risposato, si era rifatto già da tempo una famiglia a Vittorio Veneto. Nel 2002 Chika, la moglie giapponese, l’unica che possa garantire per Patrizio per fargli ottenere il permesso di soggiorno, si tira indietro, “per rifarsi una vita”, e l’uomo è costretto a tornare a casa, in Italia. È l’anno 2002.

 

 

Tornato in patria comincia l’inferno. Per quasi dodici mesi Patrizio (che è partito per il Giappone nel lontano 1992), vive a casa del padre ottantenne, a Vittorio Veneto, e cerca di reinserirsi nel mondo del lavoro, forte del suo curriculum vitae decisamente poco “italiano”. Ma quel mondo del lavoro, dell’Università, sembra non aver bisogno di lui, di un “rompiscatole” che si era scagliato contro quel sistema a cui oggi chiede un’occupazione, e allora Patrizio decide di andare via, di trasferirsi nella Capitale, per cercare una sistemazione e per non gravare ancora economicamente sull’anziano padre con cui i rapporti sono tesi dai tempi della separazione dei genitori.  

 

 

Nella capitale la situazione non migliora. Passano i giorni, passano i mesi, e i soldi pian piano finiscono, e con loro anche le ultime speranze, la dignità: Patrizio si ritrova in mezzo alla strada, costretto a vivere tra un dormitorio pubblico e una mensa della Caritas. Da questo circolo vizioso non riesce più ad uscire, perché “se mi presento ad una agenzia di collocamento mi chiedono un indirizzo, una residenza, e io non ho né una casa né un telefono. Ho lasciato l’indirizzo di mio padre, ma mi ha detto che nessuno si è mai fatto vivo”. E un lavoro in nero? “Non mi vuole nessuno neppure in nero, sono troppo vecchio e nessuno si fida di un italiano, perché hanno paura che li denunci”.

 

 

Oggi Patrizio vive in pieno centro, a pochi metri da Castel Sant’Angelo e da San Pietro, e ogni mattina viene svegliato dalla voce dei gabbiani che volano a pelo d’acqua sul Tevere e poi vanno a riscaldarsi su Ponte Sant’Angelo. Oggi Patrizio non ha trovato una casa accogliente, non ha trovato un letto comodo né un bagno caldo in cui immergersi per dimenticare il passato. Oggi Patrizio vive nell’Isola della Solidarietà, un tendone in Pvc realizzato dalla Protezione civile nei giardini di Castel Sant’Angelo per accogliere i senza tetto che rischiano la vita ad ogni gelata, ad ogni ondata di maltempo. Lì dorme, un occhio chiuso e uno aperto, assieme ad altri cento e più “amici”, per lo più rumeni o nordafricani, e con loro aspetta che venga l’ora di cena per avere un piatto caldo offerto dalla mensa o per riscaldarsi vicino le caldaie, che dalle 19 (come se prima non facesse freddo) pompano aria calda nel tendone. Oggi Patrizio è un uomo disperato che vuole a tutti i costi tornare in Giappone per rivedere sua figlia, è un cervello che era fuggito all’estero e che è rientrato, e al quale l’Italia dà quello che può offrire a chi come lui ha un curriculum lungo pagine su pagine e ha dedicato anni allo studio e alla ricerca: un piatto di minestra calda e la voce dei gabbiani con cui svegliarsi la mattina.

 

 

Per informazioni sugli interventi per i senza fissa dimora c’è la Sala operativa sociale, attiva 24 ore su 24 al numero verde gratuito 800.440022. 

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