L’Erotismo in Giappone

Ogni qualvolta parliamo di erotismo, ci addentriamo nei meandri della natura umana, nei suoi desideri; percorriamo i ripidi sentieri della mente, scoprendo le sue luci e le sue ombre. L’erotismo è integrato nella cultura del paese in cui si sviluppa, nasce dalla sua storia e dalla sua società. Per questo motivo, alla luce dello sguardo occidentale, le caratteristiche dell’ideale erotico e della sessualità, appartenenti alla cultura nipponica, potrebbero spesso risultare particolari, strambe, eccentriche e talvolta, persino disagianti. Avvertiamo le sue sfaccettature distanti dalla nostra visione perché, molte volte, l’oggetto del desiderio non è strettamente collegato all’atto sessuale in sé. L’eros giapponese sposta l’attenzione verso una serie di pratiche, rituali, azioni e fantasie, culturalmente e socialmente delineate, che differiscono spesso da un immaginario legato alle varianti sessuali “solite” che si vivono tra due partner eterosessuali.

Inoltre, i tabù variano molto rispetto allo standard europeo e statunitense: i concetti di lecito e di trasgressivo sono basati su elementi differenti; non c’è il senso di colpa o la vergogna  tipici dello spirito cattolico che vede certe attività sporche o immorali. Gli scenari che alimentano l’istinto sessuale nascono da un rapporto con il quotidiano, quasi fossero una risposta contrastante con l’uniformità sociale richiesta. Si accentrano, infatti, su elementi con cui si ha un contatto giornaliero e ad esempio una delle forme più comuni di pornografia si basa sul concetto di umiliazione o su specifici fetish estrapolati da fenomeni culturali apparentemente comuni:

Basti pensare ai Burusera shop, in cui burusera è un termine specifico della lingua giapponese creato dall’unione del termine burumā (i pantaloncini/mutandine delle tute da ginnastica) con sērā-fuku (la marinaretta, la tradizionale divisa scolastica femminile), in cui le studentesse giapponesi hanno la possibilità di vendere le loro tute da ginnastica, divise scolastiche, biancheria intima e costumi da bagno scolastici usati nelle lezioni di educazione fisica. Tale desiderio sessuale origina da uno stimolo che caratterizza l’adolescenza nipponica, ovvero la visione onnipresente di questi capi di abbigliamento nel periodo stressantissimo della formazione scolastica e universitaria.

Un altro classico feticismo, piuttosto diffuso anche in altre parti del mondo, è quello per il piede femminile, esaltato nelle opere di uno degli scrittori erotici più sofisticati del XX secolo, Tanizaki Jun’ichiro, tanto che esso divenne uno degli oggetti più caratteristici all’interno dei suoi romanzi. Il piede è un elemento con cui si è spesso in contatto, vista la loro abitudine di togliersi le scarpe nei luoghi privati e nei bagni misti. In Giappone non si ha la paura di affrontare anche temi estremamente controversi come nei rape-games, ovvero, i videogiochi a tema stupro, giocati senza scrupoli morali e molto comuni. Essi non sono giudicati con severità, a differenza dell’Occidente, che invece ne rimane piuttosto scioccato e inorridito. Un ruolo fondamentale, che ha definito, sino ai giorni nostri, l’erotismo e la sessualità nel paese del Sol Levante, è stato svolto dalla sofisticata tradizione dell’arte erotica.

Durante il periodo Edo, tra il 1600 e il 1868, divennero particolarmente popolari gli Shunga, tradotto come “pittura della primavera”, un eufemismo che si riferisce a scene e atti erotici, realizzati o impressi, su rotoli o fogli singoli di carta dagli artisti coinvolti nella stampa artistica ukiyo-e. I temi, rappresentati, affrontavano tutte le sfumature della sessualità, sia eterosessuale che omosessuale, considerata come un elemento parecchio comune ed accettato in quell’epoca, sia tra gli uomini che tra le donne.  Diversamente da come ci aspetteremmo, i protagonisti che apparivano nelle scene Shunga sono vestiti, lasciando scoperte alcune specifiche zone del corpo, dato che era molto più eccitante il concetto di “vedo, non vedo”, che lasciasse spazio all’immaginazione.

Le ambientazioni erano realistiche, dimore, bagni pubblici, postriboli o all’aperto, come lo erano i personaggi, tranne per i genitali, che spesso venivano esagerati nelle dimensioni. Alcuni shunga contenevano anche scene di zooerastia come “Il sogno della moglie del pescatore” di Katsushika Hokusai, in cui una donna ha un vero e proprio rapporto sessuale con due polpi. I personaggi più frequenti dei shunga erano spesso cortigiane e prostitute altolocate, che, per le loro condizioni quasi regali, erano inaccessibili alla maggior parte della popolazione. Solo gli uomini molto ricchi potevano sperare di usufruire dei loro servizi, mentre le donne comuni vedevano in loro dei soggetti affascinanti, visto che avevano accesso a tutta una serie di privilegi che ad una moglie non erano concessi, come la cultura e la conoscenza della dialettica.

Kitagawa Utamaro, uno degli artisti che ispirò i più grandi autori dell’Impressionismo in Europa, era caratterizzato non solo dalle raffigurazioni di splendide cortigiane, ma anche da scene omoerotiche, in cui erano presenti degli attori del teatro kabuki, che interpretavano ruoli femminili.  Questa forma d’arte erotica conserva, tutt’oggi, il suo fascino e nel 2013, infatti, al British Museum di Londra venne organizzata una grande mostra dal titolo “Shunga: sex and pleasure in Japanese art”. Inoltre, gli shunga sono stati una delle principali ispirazioni per la produzione di manga erotici in giappone, soprattutto per quanto riguarda il genere hentai. Ricordo con piacere quella mostra, ci andai quasi apposta a Londra, colpito dal fatto che un istituzione cosi grande dedicasse una mostra all’erotismo, addirittura per la prima volta fu limitato l’ingresso ai maggiori di 14 anni. Passai ore ad ammirare dipinti e stampe, cercando quelli in cui fossero presenti corde e shibari, restai un pò deluso dalla loro mancanza, ma non dalla perfezione delle opere.

Tsukioka Yoshitoshi, viene unanimemente considerato, l’ultimo grande maestro di Ukiyo-e a tema erotico: la tecnica infatti morì con lui, sostituita dalla fotografia.   Yoshitoshi diede una nuova svolta all’arte erotica giapponese, introducendo tematiche cruente e sanguinose, che portarono su carta un’esaltazione della violenza sadica. La sua opera più conosciuta è “La Casa solitaria sulla Brughiera di Adachi” del 1885: una raffigurazione macabra, che mette a disagio, ma da cui si riesce con difficoltà a staccare lo sguardo, a causa dell’intenso magnetismo verso ciò che è terribile, ma allo stesso tempo pura forza distruttrice sessualizzata. Il famigerato dipinto di Yoshitoshi, ebbe un tale fascino, che, un altro artista, Itoh Seiu, riuscì a dare i natali all’arte delle legature erotiche ed, infatti, è proprio lui il capostipite del kinbaku.

Come pittore, Itoh fu molto interessato alle forme artistiche del periodo Edo, lavorava spesso come pittore di scene nel kabuki, dai cui trasse spesso ispirazione. Sviluppò un caratteristico filone artistico, denominato “La Bellezza nella Sofferenza” attraverso cui riproduceva le torture tipiche del periodo feudale Giapponese.
L’ispirazione per i suoi dipinti derivava, però, dalla fotografia: per riuscire a rappresentare le torture del periodo Edo, legava le sue modelle in varie posizioni, le immortalava e da tali foto traeva ispirazione per i suoi quadri. Con il passare del tempo prese a dedicarsi sempre più proprio alla fotografia, che fu per lui una scelta di modernizzazione. Legava e torturava le sue modelle consenzienti e volenterose di sottoporsi ai suoi progetti e, ad un certo punto della sua carriera, ne sposò una, Kise, rendendola la sua seconda moglie. Essa viene ricordata per essere stata legata a testa in giù, mentre era incinta, per rappresentare il dipinto di Yoshitoshi proprio in maniera identica alla raffigurazione.

Fu in quel momento, che erotismo, umiliazione e tortura iniziarono a viaggiare sulla stessa linea, fondendosi imprescindibilmente e lasciando un misto tra disagio e attrazione nell’osservatore. L’arte erotica dello shibari, nata proprio dalle ricerche artistiche di Itoh Seiu, è strettamente collegata all’umiliazione e alla sessualizzazione della sofferenza e della vergogna, che il bunny prova durante il momento di costrizione tra le corde. Altri artisti hanno tratto ispirazione dell’arte erotica degli Shunga come l’illustratore e pittore, Toshio Saeki, che si è ispirato chiaramente a queste opere, sottolineandone gli aspetti più cruenti, violenti e dissacranti, riportandoli nelle nostra epoca. Egli è riuscito ad unire la tradizione artistica, erotica e violenta, giapponese con le sue ossessioni più profonde, evidenziandole attraverso uno stile composto da contorni marcati e colori brillanti alla maniera pop. Saeki si caratterizza per atti sessuali estremi che si collegano con il concetto di morte: il decesso di uno o entrambi i protagonisti; l’incontro sessuale disagiante di vivi, morti e demoni; la contrapposizione tra i soggetti giovani e belli, spesso incarnati da studentesse appena adolescenti, con esseri mostruosi, demoniaci o necrofili, sono tutti elementi tipici dell’arte di questo autore, che ben esemplificano un tipo di sessualità estrema, proiettata oltre la realtà possibile, verso i confini onirici.

Anche la fotografia, però, non è stata da meno: assieme agli shunga, alle arti pittoriche ed illustrative, rappresenta uno dei mezzi attraverso cui è stato meglio espresso il concetto di sensualità, erotismo, caratterizzante la cultura giapponese. Ne un più che valido esponente Nobuyoshi Araki, considerato uno dei maestri indiscussi della fotografia contemporanea. Il suo stile è noto per essere volutamente provocatorio, erotico e controverso, e che più volte gli ha causato problemi con la legge, a causa delle numerose accuse di oscenità. Egli pubblicò moltissimi libri e lavorò per numerose riviste, ma i suoi reportage più esemplificativi sono quelli sull’industria del sesso giapponese: “Tokyo lucky hole” raccoglie molte delle fotografie scattate in un quartiere a luci rosse di Shinjuku, fiorente negli anni ‘80 del secolo scorso, in cui si aveva la possibilità di soddisfare le proprie fantasie erotiche, anche quelle più particolari. Infatti nel quartiere si potevano trovare coffee shop in cui le cameriere non indossavano le mutandine, mentre si muovevano su un pavimento di specchi; particolari massaggi che venivano praticati tramite dei fori aperti su delle bare; locali in cui praticare shibari o in cui ci si poteva semplicemente stendere accanto ad una ragazza che dormiva. Tra tutta la possibilità di scelta, spiccava un night club di Tokyo chiamato Lucky Hole. Il suo nome non era di certo scelto a caso: i clienti stavano in piedi da un lato di un sottile muro divisorio in legno, mentre un’hostess stava dall’altro e a collegarli c’era un foro abbastanza grande da permettere di infilarci l’organo genitale maschile. Si capisce quindi che Araki era un assiduo frequentatore dei night club in quella zona e ne descrisse, ampiamente, il fascino attraverso le sue magnetiche fotografie.

La sessualità è uno dei pilastri su cui è costruita la cultura e la struttura sociale giapponese.  In generale, nel suo iter storico e religioso, non esiste una chiara linea di demarcazione tra ciò che è giusto ed etico e ciò che è sbagliato e immorale, ma si esaltano particolari simboli, talvolta provenienti dal passato: l’onore per la morte violenta e sanguinosa degli antichi guerrieri viene tradotta oggi in un gusto esplicito per il sadismo, il sangue e la sofferenza, proprio come ci narra Yukio Mishima nel suo “Confessioni di una maschera”: lacerare la pelle e vederne il sangue sgorgare rappresenta un elemento di massima perfezione sadica ed eccitante, insieme ad un’espressione del viso che esprime paura e dolore che portano quasi alla follia.  Anche l’attrazione per l’orrido, la morte, la mutilazione, l’onirico e i rapporti incestuosi è una caratteristica comune e ben presente anche nello scenario letterario, oltre che artistico, influenzato a sua volta dal folklore e dalle antiche credenze di questo popolo.  Attraverso questo excursus di immagini, opere d’arte e personaggi immortali, la cultura giapponese ci diventa leggermente più chiara e comprensibile, ed il fascino per le differenze con il nostro modo di pensare la sessualità, aumenta in modo inevitabile. Come kinbakushi, sono spesso entrato in contatto con queste sfere, rimanendone prima sorpreso, ma poi facendole diventare parte del mio lavoro. Io stesso ne sono rimasto colpito e ora molti di questi approcci rientrano nel mio modo di pensare, vivere e costruire la sensualità e l’erotismo.
Guardare il Giappone attraverso la camera da letto.

Davide La Greca

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