Le salsicce del Pantheon

Nel cuore di Roma, in Piazza della Rotonda, sorge una targa che testimonia un atto di rigenerazione urbana voluta da Papa Pio VII nel 1823. Questo spazio, dominato dalla maestosità del Pantheon, era stato nel tempo deturpato da taverne e un caotico mercato che ne oscuravano la bellezza.

PAPA PIO VII NEL XXIII ANNO DEL SUO REGNO

A MEZZO DI UN’ASSAI PROVVIDA DEMOLIZIONE

RIVENDICÒ DALL’ODIOSA BRUTTEZZA L’AREA DAVANTI AL PANTHEON DI M. AGRIPPA

OCCUPATA DA IGNOBILI TAVERNE E

ORDINÒ CHE LA VISUALE FOSSE LASCIATA LIBERA IN LUOGO APERTO

La targa narra l’azione provvida di Pio VII che, nel ventitreesimo anno del suo pontificato, ordinò una demolizione volta a restituire alla piazza la sua originaria dignità e liberare lo sguardo dei passanti da ogni bruttura. “Odiosa bruttezza” è l’espressione scolpita nella pietra, a sottolineare l’urgente necessità di far riemergere la purezza architettonica e la solennità storica di questo angolo di Roma, un luogo tanto sacro quanto profano, dove il tempo sembra sospeso tra passato e presente .

Il Pantheon, il monumento dedicato a tutti gli dèi, eretto da Marco Agrippa e poi ricostruito sotto l’impero di Adriano, merita un contorno degno della sua eternità. Eppure, per lungo tempo, l’uomo ha imposto un velo di trascuratezza, facendolo precipitare in uno scenario quotidiano di degrado. Le taverne, quegli umili rifugi di vino e convivio, avevano preso il sopravvento, oscurando la sacralità del luogo con la loro presenza prosaica. La piazza, anziché luogo di riflessione, era diventata teatro di voci e affari, deturpata dal commercio e dai suoi rumori. Fu dunque necessaria una mano ferma, un atto di forza e volontà, affinché questa piazza ritornisse a essere un luogo di pubblico godimento, dove l’anima potesse respirare e gli occhi godere della maestosità architettonica che la circonda.

Ma non è solo l’architettura a rendere Piazza della Rotonda un luogo intrigante; su di essa aleggia anche l’ombra di una macabra vicenda che affonda le sue radici all’inizio del Seicento. In quegli anni, due coniugi originari di Norcia avevano fatto di Roma il loro palcoscenico, vendendo con successo salsicce che erano divenute famose per la loro bontà particolare. La loro fama si diffondeva in città, attraendo gli avventori più golosi, che si recavano nella loro bottega per assaporare quelle carni tanto gustose. Tuttavia, dietro quel sapore delizioso, si celava un segreto raccapricciante. Le voci cominciarono a serpeggiare: quella carne non era del tutto di maiale, bensì mescolata a carne umana. Ciò che inizialmente poteva sembrare una maldicenza si trasformò presto in una realtà sconvolgente, quando il Capitano di Giustizia, una sorta di predecessore dell’attuale Commissario di Polizia, avviò un’indagine.

Le scoperte furono scioccanti. I due coniugi norcini, approfittando della loro abilità culinaria e dell’inganno, attiravano nella cantina della loro bottega clienti ignari, particolarmente robusti, per poi ucciderli brutalmente a colpi di bastone. Il loro macabro rituale si concludeva con la distruzione delle prove: gli abiti delle vittime venivano bruciati, le ossa frantumate e la carne mescolata nelle salsicce. Così si ottenne quel prodotto tanto apprezzato, il cui sapore aveva conquistato i palati più esigenti di Roma. Alla fine, la giustizia fece il suo corso, ei due norcini furono processati e condannati a morte. La loro esecuzione avvenne il 3 febbraio 1638, sotto il pontificato di Urbano VIII, e la sentenza fu eseguita con il taglio della testa, un destino che segnò la fine del loro crudele e diabolico commercio.

La storia dei “norcini da’ Rotonna” si è tramandata di generazione in generazione, intrecciandosi con il tessuto culturale della città. Ancora oggi, nel parlare romano, si usa l’espressione “Ha fatto a fine dei norcini da’ Rotonna” per riferirsi a qualcuno che tarda ad arrivare o che sembra sparito senza lasciare traccia, un sinistro richiamo a quei tempi in cui sparire poteva significare essere vittima di un crimine efferato.

Roma, con i suoi millenni di storia, è una città che nasconde infiniti segreti tra i suoi vicoli e le sue piazze. Piazza della Rotonda, così come molte altre, è una testimonianza viva di come il passato possa riemergere con forza, tra storie di rinascita architettonica e oscure vicende umane. È un luogo in cui il sublime e il terrificante convivono, un simbolo di come la bellezza possa essere deturpata, ma anche rigenerata. E ogni volta che ci si sofferma sotto le imponenti colonne del Pantheon, quella targa che ricorda l’opera di Papa Pio VII ci invita a riflettere su come la storia, anche nelle sue pieghe più macabre, continua a vivere intorno a noi.

Lascia un commento Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *