Un tempo le botteghe dei barbieri a Roma erano dei veri e propri centri culturali, i ritrovi dove si apprendevano le ultime notizie, dove si discuteva dei temi correnti della politica, dell’arte, dei fatti ed intrighi della Curia. Ne conseguiva che il barbiere aveva una sua autorità, un suo prestigio nel rione, perché era colui che sapeva tutto, dava consigli…una specie di tuttologo che passava per un uomo colto.
Ma oltre ai barbieri di riguardo, con tanto di salone, c’erano anche i “barbieri de la meluccia”. Giggi Zanazzo ricorda (1907-1910) che i barbieri “stradali” si trovavano per lo più a Piazza Montanara, a Campo de’ Fiori, al Portico d’Ottavia, a Campo Vaccino, a Via della Consolazione, dove fra l’altro c’era il maggiore ospedale di Roma. Egli narra che vedeva
“accanto ai muri delle case tre, quattro, cinque sedie, messe una di qua, una di là, che facevano da bottega ad altrettanti barbieri, che a Roma erano, per scherzo, chiamati della meluccia; perché, si dice, a chi facevano la barba, mettevano una meluccia in bocca per abbottargli le ganasce (gonfiargli le guance) Questa meluccia che doveva servire per tutti gli avventori e se la mangiava l’ultimo che arrivava. Si pagava un bajocco per levarsi una “scaja” (barba incolta) di otto, quindici e trenta giorni pure. A vederli seduti era un morire dal ridere. Il barbiere con due dita gli stringeva la punta del naso e glielo tirava in su ed in giù secondo come gli faceva comodo per sbarbificarli. Ogni momento gli lasciava il naso per aria, adesso per affilare il rasoio alla codetta attaccata alla spallina della sedia ed adesso per rispondere a questo od a quello, per sdottrinare e per sputare sentenze. E quel povero villano che gli stava sotto, col grugno tutto impastato di sapone da un bajocco la libbra, stava lì tutto rassegnato, con gli occhi che gli sperdevano nell’aria, senza nemmeno tirare il fiato, per paura di qualche sgarro al vicolo de li tozzi (ossia alla gola). Sbarbificato che fosse, s’alzava, s’asciuttava er grugno a la manica de la camicia e un altro burino s’annava a mettere al posto suo, intanto che il barbiere strillava: Sotto a chi tocca!”
Il barbiere – aggiunge Zanazzo – sapeva
“tutto quello che mangiava a pranzo il Papa; chi era il cornuto più anziano e quello più fresco di tutta la nobiltà romana; quanti cardinali si sarebbero “sputati” al prossimo Concistoro, e ad uno ad uno tutti li peti del vicinato. E finalmente per rassomigliare a pennello al Barbiere di Siviglia faceva all’occorrenza il portapollastri (ruffiano)e pizzicava un tantinello di chitarra”.