La Vigilia di Natale a Roma ha sempre avuto un fascino speciale, legato non solo alla celebrazione religiosa ma anche a una tradizione culinaria che, nel corso dei secoli, si è arricchita di significati e simbolismi. Il cuore di questa tradizione risiedeva nel “Cottio”, una vera e propria asta del pesce che si svolgeva ogni anno dal XII secolo fino agli inizi dell’Ottocento, al Portico d’Ottavia, nel cuore pulsante della Roma antica, proprio vicino alla chiesa di Sant’Angelo in Pescheria.
Il “Cottio”, termine che deriva dal latino medievale coctigium (che significa “asta”), rappresentava il primo atto ufficiale della preparazione per il Cenone della Vigilia, un evento di grande rilevanza per i romani. Si trattava di una contrattazione all’ingrosso del pesce, che veniva venduto per essere cucinato in piatti tipici del periodo natalizio. Non era solo un mercato: il Cottio diveniva una sorta di spettacolo, un’esperienza sociale che vedeva coinvolti tanto i popolani quanto i nobili, che si recavano al mercato in abito da sera, dopo aver partecipato a sontuose feste nei palazzi della città. Le contrattazioni erano vivaci e si svolgevano in un gergo comprensibile solo agli “addetti ai lavori” – i cottiatori, i gestori delle trattorie e i cuochi delle famiglie aristocratiche. Ogni anno, il mercato rappresentava un appuntamento immancabile, con una cornice di suoni, colori e odori che immersero Roma in un’atmosfera unica, che preludeva al grande banchetto della Vigilia.
Ma cosa accadeva a tavola durante la Vigilia di Natale? La cena del 24 dicembre era un momento di grande importanza, caratterizzato da piatti a base di pesce, come imponeva la tradizione di magro, necessaria per rispettare il precetto dell’astinenza e non incorrere in peccato. Il menu si apriva con antipasti di olive, anguille, pescetti marinati e un ricco brodo di pesce, seguito dalla tipica pastasciutta al sugo di tonno. Il piatto forte era il baccalà in umido, preparato con pinoli e zibibbo, accompagnato da broccoli e mele renette fritte in pastella. La cena si concludeva con una tombola e la recita del “sermone”, una poesia natalizia che i bambini recitavano davanti al presepe. La messa di mezzanotte, particolarmente solenne nella basilica di Santa Maria Maggiore, coronava questa notte speciale.
Con l’Unità d’Italia, però, il mercato del pesce cambiò sede. La vendita del pesce non avvenne più al Portico d’Ottavia ma venne trasferita a piazza San Teodoro, in una zona più comoda per l’approvvigionamento della città. I pesci venivano trasportati attraverso porta San Paolo e porta Portese, evitando così il caos della capitale e ottimizzando le operazioni. A San Teodoro, il mercato del pesce si arricchì di nuove strutture, come botteghe per la vendita, pulpiti per i banditori e un sistema di illuminazione notturna che cambiò radicalmente l’esperienza dei venditori e dei compratori. Non solo: un sistema di innaffiamento migliorava le condizioni igieniche, facendo di questo mercato un luogo più salubre rispetto a quello del passato.
Il Cottio proseguì così fino al 1927, quando venne definitivamente spostato ai Mercati Generali, sulla via Ostiense. Qui, nella notte tra il 23 e il 24 dicembre, intorno alla mezzanotte, si aprivano i cancelli e l’atmosfera si faceva ancor più suggestiva. Anche i privati cittadini potevano accedere al mercato, dove venivano distribuite gratuitamente “cartocciate” di pesce fritto – piccole porzioni di pesce fresco, che pur non essendo di qualità pregiata, permettevano di immergersi nell’autentica tradizione romana. L’evento divenne un’istituzione, un rituale che vedeva la partecipazione di moltissimi romani, alla ricerca di un’atmosfera natalizia tanto genuina quanto ricca di storia. Quella stessa atmosfera si mescolava con l’elite, creando un incontro tra mondi diversi, legati da una tradizione che veniva tramandata di generazione in generazione.
Purtroppo, come accade spesso con le tradizioni più radicate, anche il Cottio giunse alla fine. Quando nel 1972 i vecchi mercati generali furono chiusi e trasferiti in una nuova sede a Guidonia, la magia di quelle notti tra il 23 e il 24 dicembre scomparve. Oggi, quella tradizione è solo un ricordo lontano, ma per chi ha avuto la fortuna di viverla, la memoria delle “cartocciate” di pesce fritto e dell’atmosfera festosa rimarrà sempre viva. Le tradizioni come queste non sono solo piatti da gustare o mercati da visitare, ma sono un pezzo di storia che ci parla di una Roma che, pur nella sua modernità, ha sempre mantenuto viva una connessione profonda con il passato.
La Vigilia di Natale a Roma, con le sue tradizioni culinarie e sociali, rimane così una delle celebrazioni più suggestive e affascinanti, che continua a vivere nel cuore dei romani, nonostante i cambiamenti dei tempi.