Ossia, come Star Wars sta diventando sempre più simile al brand “Pirati dei Caraibi”. La tanto paventata “rottura” con gli schemi narrativi classici Guerre Stellari, si può considerare perfettamente realizzata con Gli ultimi Jedi. Il film ha avuto moltissime critiche, ma anche numerosi difensori, pronti a giurare che, in fondo, le tematiche non siano poi così cambiate rispetto alle trilogie precedenti. E in fondo è vero, però è innegabile che qualcosa sia cambiato: qualcuno lo ha visto come un ammodernamento, qualcun altro un vero e proprio tradimento. Ma cosa è cambiato veramente? Non tanto la trama quanto i linguaggi del film, ossia il modo con cui raccontare la storia e comunicare le emozioni. Ecco qui c’è stato un grande distacco: questo è un film tutto Disney, tutta “nuova scuola”.
Lo stile Disney di ”Pirati dei Caraibi”. 15 anni fa la Disney lanciò un ”La maledizione della prima luna”. Una storia d’avventura, al limite dell’horror, sviluppata in un ambientazione fantasy piratesca, ma condita di azione e comicità. L’idea alla base della pellicola, era nata al termine di un periodo di dissapore con lo studio Pixar, che fino ad allora era stato il traino dei nuovi film Disney. La compagnia aveva deciso di puntare su prodotti alternativi, diversificando, per non essere troppo assoggettata alla Pixar. Così da un’idea maturata già negli anni novanta per rilanciare le aeree tematiche dei suoi parchi di divertimento, nacque il concetto pirati. Ma non doveva essere un film di pirati ”vecchio stile”, né un film storico, ma più un film d’azione che ammiccasse un po’ a tutti. Il film fu un successo che contese al film prodotto dalla stessa Disney ”La ricerca di Nemo”, uscito il mese prima, il titolo di campione del box office dell’anno. La formula scanzonata e comica de ”I pirati dei Caraibi” e successivi si dimostrò essere un’idea di assoluto successo, capace di catturare il pubblico più giovane, e i giovani adulti, grazie ai colpi di scena, alle battute continue e alle scene d’azione a volte così eccessive da sforare volutamente nel ridicolo, ma con una trama alle spalle complessa e strutturata.
Uno stile vincente. Lo stile di Pirati dei Caraibi si è dimostrato un mood vincente: Azione, battute e personaggi un po’ fuori dalla righe, ma anche colpi di scena, cammei importanti, spezzoni dark, in un frammistarsi di situazioni serie e comiche. Potremmo quasi definirlo un super genere, in cui confluisce un po’ di tutto: una strizzata d’occhio a Indiana Jones, una alle saghe fantasy come ”Il signore degli anelli”, una ai film di pirati, una agli horror classici, ecc, ecc . A pensarci bene ricorda un pò’ anche lo stile dei film Marvel, (sempre Disney) e il brand Trasformers (Dreamworks/Paramount). Ne siamo ormai pieni. Qualcuno avrà pensato: “il sistema funziona, ha creato un nuovo brand super redditizio (i 5 film di PoC hanno incassato oltre 4 miliardi di dollari), ha rilanciato un vecchio brand (Marvel), rilanciato i fumetti, portato miliardi in merchandising. Un brand come Star Wars, che piace tanto ai trentenni, ma non fa cosi breccia sulle nuove generazioni non può che avvalersi di questa formula magica
Il linguaggio della nuova trilogia. Così, basta poco per rendersi conto di come il linguaggio della nuova trilogia sia fortemente influenzato da questo mood: prendiamo la scena in cui Luke rifiuta la spada che reverentemente Rey gli porge: è assolutamente fuori dal contesto del personaggio, del modus operandi Jedi, dal senso della scena, ma strappa una risata. Perché? Perché è inattesa: tutti ricordiamo la scena in cui Obi-Wan consegna a Luke la spada come fosse una reliquia. Abbiamo aspettative simili, rompere le aspettative fa ridere. Così fanno ridere gli allenamenti di Rey, che danneggiano continuamente oggetti delle custodi, fa ridere la ricca comparsa che, ubriaca, continua a inserire monetine in BB8; addirittura strappano un sorriso alcune scene di interazione mentale tra Rey e Kylo Ren, che invece narrativamente dovrebbero essere cariche di suspense. Ci sono molte altre analogie, come l’esecuzione di Finn e Rose (scena vista in tutti i film) o ancora il lungo inseguimento tra le navi del primo ordine e dei ribelli, ricordano tanto gli scontri navali tra vascelli, tra colpi radi sparati da lontano e la nave inseguita che cerca di distanziare i propri inseguitori. Certo, nei primi film di Star Wars non mancavano le battute, ma avevano una funzione differente: lì servivano ad aggiungere spessore alla trama, erano insomma strumentali, qui invece servono a rompere la tensione, facendo venire meno la funzione drammatica; in questo modo non c’è mai un vero dramma, non c’è una tensione emotiva che potrebbe rendere il film troppo ”cruento”. Pirati dei Caraibi parla di assassinii, tagliagole e guerra, ma non è mai cruento. Nemmeno i cattivi fanno davvero paura.
Ma i parallelismi più evidenti sono nei personaggi. Anche in Pirati dei Caraibi ci sono tre protagonisti: Jack Sparrow, abilissimo capitano della Perla Nera, dalla lingua lunga che sembra cavarsela sempre per il rotto della cuffia, Elisabeth Swann, vero motore della trama e degli eventi, e l’unica che in ogni momento sembra sapere cosa sia giusto e cosa sia sbagliato, e Will Turner, abile fabbro e spadaccino, costretto, suo malgrado, a seguire gli altri due in un alternarsi di vicende ed equivoci. Jack è un protagonista strano, quasi una spalla comica a volte; è l’unico dei tre che conosce l’ambiente dei pirati e le sue regole, dove tutti lo conoscono, nel bene o nel male. È un personaggio con i suoi scopi che funziona bene anche da solo ha sempre vicino una spalla (tipo la scimmietta). Al contrario sia Will che Elisabeth sono personaggi strappati al loro ”mondo” che devono imparare a convivere con usi differenti, esplorando e conoscendo nuovi personaggi. Ma, mentre Elisabeth cerca di prendere subito il controllo della situazione, Will è restio a farlo e vorrebbe tornare a casa. Elisabeth è dettata da forti motivazioni personali, Will o cerca di salvare Elisabeth o è schiacciato dagli eventi. Un’altra caratteristica di Jack è essere spesso un deus ex machina delle vicende, ossia il suo intervento è sempre provvidenziale, in un modo o nell’altro ma non muove lui la trama, né il personaggio sembra evolversi. Aggiungiamo poi altri due elementi: un cattivo ricorrente che man mano si dimostra essere un alleato (Norringhton o Barbossa) e altri cattivi che si dimostrano spietati ma assolutamente incapaci, che non fanno mai realmente paura essendo ala caricatura di loro stessi (Bekett delle Indie Orientali).
Ora vediamo i parallelismi. Come Jack, Poe è spocchioso, lesto di lingua, agisce impulsivamente ma se la cava sempre; i suoi interventi sono sempre provvidenziali, e nessuna delle sue azioni controverse ha mai conseguenze. Inoltre, è lui ad avere il controllo della situazione e nel suo ambiente tutti lo conoscono, infatti uno dei suoi ruoli è quello di inserire Finn e Rey nella resistenza e supportarli. Finn non interviene attivamente durante tutto il film, anche qui è un deus ex machina: appare e risolve situazioni. Dal canto suo Rey è il motore degli eventi: spinge Finn a seguirla, decide di trovare Luke, è animata da una grande forza di animo e la sua curiosità la spinge ad innescare una serie di eventi. Come Elisabeth è importante per altri personaggi perché è figlia del governatore, cosi Rey è importante perché ha “qualcosa”. Al contrario, Finn è invece sempre sul punto di voler tornare indietro, e l’unica cosa che lo spinge a rimanere sembra proprio essere Rey. I parallelismi tra Kylo Ren e Norringhton sono meno palesi, ma la base è simile: pur essendo entrambi personaggi tormentati tra il loro senso del dovere e un sentimento verso Rey/Elisabeth, non riescono a portare a termine i loro compiti (Kylo comunque deve in qualche modo mantenere lo stile dei suoi predecessori). È invece quasi totale la sovrapposizione tra Hux e l’infido Beckett: entrambi troppo sicuri di sé, entrambi incapaci di prendere decisioni sensate davanti agli imprevisti, entrambi vanagloriosi della potenza delle loro navi, dei loro uomini, dei loro mezzi, entrambi viscidi e probabilmente codardi. Nessuno di loro incute alcun timore al pubblico. Nessun bambino piangerà vedendo Kylo Ren, come poteva succedere con Palpatine, Darth Vader o Darth Maul.
E i vecchi personaggi? Ma in questo schema non si tiene conto di Luke, Han e Leia (e Chewie). Come si può non tenerne conto? Perché contano poco: purtroppo la presenza dei vecchi personaggi è solo un lungo cammeo atto a far da passaggio di testimone. A pensar male si potrebbe dire che sono quasi volutamente offuscati, spenti. Di Luke se ne è parlato fin troppo, e credo sia inutile ripetersi. Leia è una caricatura di se stessa, e non per la prestazione di Carry Fisher, come alcuni maligni dicono, bensì per evidenti scelte di regia. È più matura, sì, è più prudente, sì, ed è giusto che sia così. Ma il problema è che non appare carismatica, non è una leader, sembra più una grande ”mamma” della resistenza che un generale operativo: è proprio un problema di taglio del personaggio. Anche Han Solo, di gran lunga il più carismatico dei tre, nonostante l’abilità di Henry, non viene sfruttato al 100%: sembra sempre un po’ in disparte messo lì a dar spazio ai nuovi arrivati.
Ma i pirati in Star Wars funzioneranno? Difficile dirlo, perché Guerre Stellari non è un prodotto nuovo. Ha il suo linguaggio, anzi ha creato il suo linguaggio e lo ha imposto al mondo. Non è una saga che si presta a essere cambiata così. Il rischio è che Star Wars perda i suoi fan più accaniti e diventi un film come tutti gli altri, capace, sì, di macinare numeri, ma senza più il suo valore. Pensiamoci bene: siamo sicuri che, tra 30 anni Pirati dei Caraibi o Avengers saranno dei cult anche solo lontanamente avvicinabili a quello che è stato Star Wars per noi? Perché Star Wars è stato un successo? Non perché parlasse di astronavi, non perché ci fosse il dualismo bene o male, ma perché ha scavato un sentiero nella storia del cinema, un suo sentiero, fatto di musiche e di emozioni. Lucas ha saputo creare emozioni attraverso le musiche, le inquadrature; parliamoci chiaramente: cosa sarebbe Darth Vader senza la marcia imperiale, senza il suo incedere imperioso, senza il rispettoso silenzio rotto dai profondi respiri che precedeva ogni sua frase? Quando noi spettatori ci renderemo conto che quello che fa grande un film sono le emozioni , anche il ”super genere” Pirati dei Caraibi si esaurirà.