Era il 1988 quando usciva “La città demoniaca Shinjuku” (Demon City Shinjuku), un anime che è diventato nel tempo un vero e proprio cult per gli appassionati del genere, e che ancora oggi esercita un fascino particolare su chi ha amato l’animazione degli anni ’80. Prodotto dalla leggendaria Madhouse, la stessa casa di produzione che ci ha regalato titoli come Akira e Ninja Scroll, il film si distingue per la sua miscela di horror, azione e mitologia, ambientato in un futuro prossimo che sembra più un incubo che una distopia.
La trama di “La città demoniaca Shinjuku“ può sembrare semplice: il giovane Kyoya Izayoi deve raccogliere l’eredità del padre, morto dieci anni prima mentre cercava di fermare Rebi Ra, un demone che aveva l’incarico di aprire un varco tra il mondo umano e quello infernale. Ma il cuore della storia non sta tanto nella complessità della trama, quanto nella sua capacità di coinvolgere lo spettatore in una vicenda che, pur non brillando per originalità, riesce ad essere emozionante e ricca di colpi di scena. Kyoya è spinto dalla determinazione di Sayaka Rama, una ragazza che si scopre essere la figlia del presidente di una potente corporazione impegnata nella lotta contro i demoni. Insieme, i due dovranno affrontare una città infestata da creature sovrannaturali, dove ogni angolo nasconde pericoli mortali.
La forza di Demon City Shinjuku risiede proprio nella sua struttura compatta e ben ritmata. Nonostante il soggetto non faccia gridare alla novità, l’anime riesce ad affascinare grazie alla sua capacità di mescolare scene di azione mozzafiato con momenti più introspettivi, senza mai perdere ritmo. Ogni combattimento è una battaglia all’ultimo sangue, ogni vicolo oscuro di Shinjuku una trappola in agguato, e il film ci guida attraverso questi scenari con il passo di un’odissea infernale, dove la città stessa sembra respirare come un organismo malato.
Dal punto di vista tecnico, Demon City Shinjuku è un piccolo gioiello visivo. Il design dei personaggi, curato da Yoshiaki Kawajiri e Masakazu Katsura, è elegante e dinamico, capace di trasmettere appieno le emozioni dei protagonisti. Le animazioni, pur limitate dalla tecnologia dell’epoca, riescono a donare vita a un mondo che sembra sospeso tra il reale e il surreale. I fondali sono un vero spettacolo, con una cura incredibile nei dettagli che contribuisce a creare un’atmosfera unica, quasi onirica. Il contrasto tra i toni cupi dei demoni e le luci vive della città, mescolato con l’uso sapiente delle ombre, infonde la pellicola con una sensazione di claustrofobia e pericolo imminente che si fa quasi palpabile.
Ma Demon City Shinjuku non è solo una festa per gli occhi. La sceneggiatura, purtroppo, non è priva di difetti. La trama, pur avvincente, lascia alcune domande irrisolte e non sviluppa a fondo alcune delle sue idee più interessanti. Il protagonista, Kyoya, segue il classico percorso di crescita del “ragazzo che diventa eroe”, e la sua evoluzione, seppur affascinante, risulta prevedibile. Lo stesso vale per il villain, Rebi Ra, che, pur con il suo aspetto minaccioso, resta intrappolato nei canoni del demone malvagio senza una vera e propria profondità psicologica.
Nonostante questi limiti, Demon City Shinjuku rimane un’opera imperfetta ma affascinante, che ha saputo conquistare il cuore di chi, come noi, ama immergersi nelle atmosfere più cupe e misteriose del mondo dell’animazione. Gli appassionati delle produzioni giapponesi degli anni ’80 troveranno una lunga lista di riferimenti e citazioni che spaziano dalla mitologia greca ai videogiochi dell’epoca. Personaggi come Kyoya sembrano attingere a figure iconiche della cultura popolare, da Wolverine a Ken Shiro, creando un mix di horror, azione e psicologia che rimane uno dei tratti distintivi del film.
Eppure, non è solo la lotta tra il bene e il male che rende il film affascinante. C’è anche un sottofondo mitologico che arricchisce la trama, facendo riflettere su temi universali. Il viaggio di Kyoya e Sayaka nella città devastata da demoni richiama, in un certo senso, la Divina Commedia di Dante, con i protagonisti che, accompagnati da un misterioso ragazzino, intraprendono un viaggio infernale, attraversando un mondo che è ormai solo macerie. Il cane a due teste Kuro, che protegge l’ingresso verso il regno dei demoni, sembra un chiaro omaggio a Cerbero, il mitologico guardiano degli Inferi.
Nonostante i suoi difetti e la sua trama a tratti prevedibile, “La città demoniaca Shinjuku” riesce ancora oggi a brillare come uno dei capolavori dell’animazione giapponese degli anni ’80. È un’opera che mescola action, horror e mitologia in un cocktail che non smette di incantare. Una visione imprescindibile per chi vuole riscoprire il meglio di quegli anni, anche se consapevoli che, pur nella sua spettacolarità visiva, la trama non è priva di fragilità. Un anime imperfetto, sì, ma che ha lasciato un segno indelebile nell’immaginario collettivo.
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