Il termine Kawaii, che molti di voi avranno già sentito, è un aggettivo giapponese corrispondente all’inglese “cute”, in italiano “carino”. Le origini del termine sono da ricercare nell’espressione kao hayushi che letteralmente significa “faccia raggiante”, che si riferisce all’arrossire, infatti in origine indicava proprio i concetti di “timido”, “imbarazzato”, e solo secondariamente amabile e piccolo, che poi nell’uso moderno assumeranno il significato principale.
Anche se già riscontrabile in tempi molto antichi, si tratta di una parola o modo di essere “entrato in voga” a partire dal XX secolo, cioè quando diventa una vera e propria cultura giovanile, si collega all’esplosione dei gadget relativi a personaggi di anime, per poi indicare genericamente un oggetto carino, dalle fattezze piccole e di solito dai colori chiari pastello. Con il passare degli anni assumerà un significato relativo a un vero e proprio stile di vita, diventando una cultura, un modo di vivere che conquisterà ragazzi e ragazze anche al di fuori dei confini giapponesi.
Anche l’industria del fumetto e dell’animazione giapponese si legò fin da subito alla cultura kawaii, in particolare col fumetto umoristico e lo shōjo e il primo a introdurre elementi riconducibili dell’estetica kawaii fu Osamu Tezuka negli anni quaranta, ispirato dalle produzioni Disney.
Il kawaii diventa nel XXI secolo una moda che investe un cambiamento di tipo estetico e comportamentale caratterizzato da una spiccata timidezza e dall’uso di un linguaggio che comprende onomatopeiche, il parlare di sé in terza persona e l’uso dei suffissi tan e chan. Anche se non naturale, questo aspetto di ingenuità bambinesca è molto apprezzato in una fascia di età più giovane, che contrappone questa idea di restare eterni fanciulli, eterni Peter Pan con la frenetica vita degli adulti che si barcamena tra serietà e lavoro.