Londra, 1888. Un’ombra si aggira tra le strade buie e nebbiose di Whitechapel, nel cuore dell’East End. Un’ombra fatta di sangue, terrore e mistero, destinata a diventare leggenda. Jack lo Squartatore – un nome che evoca paura, curiosità e un’incessante ricerca della verità. Più di un secolo dopo, il suo spettro continua a infestare la memoria collettiva, alimentando teorie, romanzi, film e saggi che cercano di risolvere uno dei più celebri enigmi della storia criminale.
I delitti del 1888 hanno segnato una svolta nell’immaginario della cronaca nera: cinque donne brutalmente assassinate, mutilate con un metodo tanto efferato quanto chirurgicamente preciso. Mary Ann Nichols, Annie Chapman, Elizabeth Stride, Catherine Eddowes e Mary Jane Kelly, vittime di un carnefice che non lasciò tracce tangibili, se non l’orrore nei vicoli di Whitechapel e una serie di lettere, tra cui la famigerata missiva firmata “Jack the Ripper”, che contribuì a cementare la sua leggenda. La polizia dell’epoca, priva degli strumenti scientifici moderni, navigò a vista in un mare di sospetti e supposizioni, incapace di identificare il colpevole.
Il mistero attorno alla vera identità dello Squartatore ha generato decine di teorie, alcune più plausibili di altre. Tra i sospetti figurano Montague John Druitt, un insegnante dall’esistenza tormentata terminata in un apparente suicidio; Francis Tumblety, un medico americano dal discutibile interesse per l’anatomia femminile; Walter Sickert, il noto pittore con inclinazioni macabre; e Aaron Kosminski, un barbiere polacco con disturbi mentali, internato nel 1891. Ed è proprio Kosminski a essere recentemente tornato al centro dell’attenzione grazie a un’analisi del DNA prelevato da uno scialle che si ritiene appartenuto a Catherine Eddowes. Lo studio, condotto dal ricercatore Russell Edwards, ha individuato tracce genetiche riconducibili a un discendente vivente del barbiere polacco. Una prova definitiva? Non proprio.
Il problema con la cosiddetta prova del DNA è duplice: da un lato, il metodo impiegato permette solo di escludere la non-correlazione tra due campioni, senza identificare con certezza assoluta un individuo; dall’altro, il rischio di contaminazione dopo oltre un secolo è altissimo. Gli scettici sottolineano che il DNA potrebbe essere stato depositato sullo scialle in un momento successivo, alterando qualsiasi pretesa di certezza scientifica. E così, mentre alcuni sostengono che l’enigma sia finalmente risolto, altri vedono in questa scoperta solo un ulteriore colpo di scena nel lungo romanzo di Jack lo Squartatore.
Il profilo psicologico del killer, delineato sia all’epoca che in tempi moderni, aggiunge ulteriori sfumature a un quadro già complesso. Il medico forense Thomas Bond lo descrisse come un uomo solitario, audace, con una forte misoginia e una probabile deviazione sessuale. L’FBI, nel suo studio retrospettivo, lo identificò come un individuo bianco, tra i 28 e i 36 anni, intelligente, organizzato, sadico e affetto da disturbi della personalità. Tuttavia, al di là delle analisi e delle ipotesi, resta il fatto che il suo vero volto continua a sfuggire alla storia.
Jack lo Squartatore non è solo un assassino: è un simbolo. Un simbolo del fallimento della giustizia, della paura del caos urbano, del fascino per l’ignoto. La sua figura ha dato vita a un intero filone letterario e cinematografico – il cosiddetto “squartamentale” – che continua ad alimentare la sua leggenda. Da Sherlock Holmes a From Hell, da studi storici a romanzi gotici, la sua ombra si proietta ben oltre il XIX secolo, come se il mistero, più che la verità, fosse la vera essenza della sua esistenza.
Forse non sapremo mai chi fosse veramente Jack lo Squartatore. Forse, in fondo, non vogliamo davvero saperlo. Il fascino del mistero risiede proprio nella sua irrisolvibilità, nell’eterno enigma che continua a sfidare la nostra voglia di capire. Perché, dopotutto, è questa la forza delle leggende: sopravvivere alla storia, scolpendo il proprio nome nel tempo.
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