Intervista a Mario A. Rumor

Ciao, sono Mario A. Rumor e mi occupo in ambito editoriale di cinema, serie televisive, fumetto e cinema d’animazione. Nel senso che ho la fortuna e il privilegio di poterne scrivere su riviste e mensili, svolgendo anche mansioni totalmente diverse. Umanamente sono un tipo molto riservato, mi si vede pochissimo in giro e non amo la folla. Ma in compenso dicono che sono piuttosto simpatico.

Quando nasce la tua passione artistica?
Se per passione artistica intendi passione per la scrittura, rispondo: da quando ero piccolo, azzardo un trent’anni fa, periodo nel quale a scuola sbuffavo di impazienza durante le lezioni, scrivevo racconti anziché svolgere i compiti a casa, coinvolgevo la classe in estemporanee manifestazioni teatrali in cui lo spettacolo non veniva regolarmente mai messo in scena, sebbene nel frattempo fossi riuscito a piazzare i biglietti ai compagni. Poi tutto si sgonfiava e si rientrava nella normalità delle lezioni. Quindi, giù a sbuffare di nuovo. Già all’epoca il cinema era un momento che vivevo con grande emozione attraverso una sgangherata televisione in bianco e nero dove passavano classici di Hollywood, melodrammi di Douglas Sirk e uno dei film preferiti da mio padre, La grande fuga (1968), che è poi diventato uno dei miei film preferiti. Da qui a decidere che scrittura e cinema sarebbero diventate due vitali coordinate esistenziali è bastato poco.

Com’è il tuo rapporto con il mondo radiotelevisivo?
Un tempo mi incollavo volentieri al piccolo schermo. Negli ultimi tempi ho imparato a farne a meno, pigiando il pulsante del telecomando solo per seguire i telegiornali, qualche nuovo reality  – e soprattutto i telefilm americani che sono la mia passione.

Qual è il tuo programma preferito?
Mi piace l’affabilità di Corrado Augias, la sua cultura e l’amore che dimostra per la cultura, la memoria e la Storia. Quindi, direi il suo “Le storie” in onda su Rai Tre. Se invece assecondo la suddetta passione per le serie televisive americane, potrei farti un elenco lunghissimo. Sintetizzo così: LOST, Prison Break, High School Team, Heroes, Veronica Mars, NCIS, Grey’s Anatomy, 24, Life on Mars e The West Wing, uno dei serial meglio scritti in circolazione.

Qual è il canale preferito che guardi più frequentemente?
In realtà ho poco tempo a disposizione per rilassarmi davanti alla Tv. Se devo scegliere, dico il pacchetto cinema di Sky e quello delle serie televisive, con Fox in testa.

Perché?
È il paradiso terrestre per cinefili e telefili. A Sky hanno capito bene l’importanza della tecnologia e la seguono di pari passo, inoltre hanno programmazioni grintose mettendo – giusto per dirne una banalissima – sullo stesso piano “cultuale” vecchi classici del piccolo schermo e le novità più recenti e apprezzate dal pubblico. Inoltre hanno il coraggio di scommettere sulle serie e mini serie britanniche: penso ai Tv Drama della BBC (andati in onda su Raisat Premium), a telefilm strepitosi come The Hustle e Life on Mars.

Quando nasce la tua passione per i cartoon?
Altro retaggio acquisito durante l’infanzia. Appartengo con orgoglio alla generazione che ha visto arrivare in Tv gli anime giapponesi alla fine degli anni ’70 del secolo scorso. Che però miscelavo ai classici di Hanna & Barbera e a diversi altri serial americani.
Una volta cresciuto e appurato che il cinema d’animazione non era un accessorio ad uso e consumo dei bimbi, sono iniziati i colpi di fulmine (per il cinema di Hayao Miyazaki e Isao Takahata in particolare) ed è nata la consapevolezza che esistevano altre scuole d’appartenenza del cinema animato che valeva la pena esplorare: Disney – perché no? – , Alexander Petrov, Frédéric Back, Yuri Norstein, Bruno Bozzetto e tanti altri.
Oggi mi sembra un oltraggio limitare l’immaginazione dei ragazzini propinando loro i classici della Disney o le simpatiche canaglie dell’animazione digitale quasi fossero un’istituzione come il catechismo. C’è molto di più là fuori.

Il tuo cartoon preferito? e perché?
Un cartoon maschile e uno femminile: Conan il ragazzo del futuro (1978) di Miyazaki perché ci sono cresciuto, mi ha lasciato dentro qualcosa difficile da spiegare; Anna dai capelli rossi (1979) di Isao Takahata perché è un capolavoro assoluto della serialità per ragazzi ispirata alla letteratura per l’infanzia. Dovrebbero proiettarlo nelle scuole (dopo aver fatto leggere i romanzi di Lucy M. Montgomery). E intendo “femminile” per l’accidentale appartenenza al genere della protagonista Anne Shirley. In realtà il cartoon è indirizzato a tutti, giovani e adulti.

Di cosa ti occupi attualmente?
In veste ufficiale do una mano nell’azienda di famiglia sotto le mentite spoglie di un bamboccione non stipendiato, esausto e molto pessimista (ma questo il Ministro Padoa Schioppa non lo sa). In veste ufficiosa collaboro con diverse riviste del settore, tra cui Widescreen Magazine, TelefilmMagazine e Fumo di china, e curo la versione on-line del magazine MAN-GA! sul sito di Yamato Video, uno dei più apprezzati e seguiti dai lettori in Rete (che qui sommessamente ringrazio).

Progetti futuri?
Tanto tempo fa ho iniziato un libro sul cinema di Hayao Miyazaki che spero di completare per il 2009 quando, presumibilmente, sarà distribuito nei cinema italiani il nuovo atteso film Gake no Ue no Ponyo (Ponyo sulla scogliera). Nel frattempo sto scrivendo un nuovo libro e seguendo altri progetti.

Sogni nel cassetto?
Mi piacerebbe scrivere una storia per il cinema così bella da convincere Miyazaki a trasformarla in un film d’animazione. Qualcosa che per il 90 per cento resterà un sogno e per il restante 10 per cento finirà a riposare nel cassetto.

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