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Infamous – Una pessima reputazione

A solo un anno di distanza, è in uscita un nuovo film su Truman Capote, geniale scrittore statunitense della metà del novecento; il nuovo ritratto di un uomo dalla personalità curiosa e un’omosessualità mai nascosta, nel momento in cui, estremamente colpito dall’efferato delitto che sconvolse una piccola cittadina del Kansas, creava il suo originale ibrido tra romanzo e reportage, dal titolo “In cold blood” (A sangue freddo, 1966).

Dopo “Truman Capote” per la regia di Bennet Miller e il premio Oscar per il migliore attore protagonista a P. Seymur Hoffman, è la volta di “Infamous – Una pessima reputazione” di Douglas McGrath il quale dirige un Toby Jones che interpreta il Capote che personalmente io preferisco. Il film ha partecipato al festival del cinema di Venezia nella sezione “Orizzonti” e, nonostante non abbia conseguito premi, McGrath ha dato prova di saper dirigere in modo discreto, ma impeccabile un cast ricercato anche nel piccolo personaggio. La storia dunque accomuna i due film. Ritorna il suo ego spiccato, fatto di componenti narcisistiche, quasi capricciose, ritorna la sua simpatia non più frenata o esclusivamente cinica ma resa finalmente frizzante, ritorna soprattutto l’angoscia per quel delitto e il suo rapporto più che mai ambiguo con l’assassino… ma il tocco di McGrath insieme a un Jones molto più spontaneo del Capote fastidiosamente costruito di Hoffman, rendono questo film pienamente riuscito. Un film più diretto, più aperto.

Questa è la fortuna o la sfortuna – dipende dal punto di vista – di ritrovarsi in così poco tempo di fronte a due film talmente vicini da risultare troppo evidente la loro distanza. Stavolta ha vinto l’idea di una folata di vento che ti spazza via all’improvviso nonostante tu ti senta tenacemente radicato a terra, la risata e il dramma rappresentati con più intensità, il Capote che dietro questa buffa “voce da cavoletto di Bruxelles” sembra battersi di continuo dentro se stesso alla ricerca del suo desiderio…: un uomo, un libro, una vita che mano a mano che scrivi muore un po’. Chissà se vale la pena.

 

di Alice Rinaldi

 

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