Trent’anni fa, l’11 marzo 1994 in Italia (e il primo giugno 1994 negli USA), il cinema italiano tentava di buttarsi nella mischia con una parodia demenziale che avrebbe dovuto far ridere come i grandi capolavori di Mel Brooks. Il silenzio dei Prosciutti, scritto, diretto e interpretato da Ezio Greggio, è un esperimento cinematografico che ha saputo conquistare il suo piccolo, inossidabile seguito di fan del trash. Il film è una parodia di due thriller immortali, Il silenzio degli innocenti e Psycho, ma con quel tocco di esagerazione che solo il cinema trash può offrire, dove le risate non sono mai troppo intelligenti, ma decisamente abbondanti.
La trama del film è un caotico miscuglio di gag, colpi di scena improbabili e personaggi grotteschi. Si parte con una voce narrante e una morte in una doccia che rimanda immediatamente a Psycho. In quel motel che sembra essere un incrocio tra la più bassa periferia americana e una scenografia di b-movie, l’agente FBI Jo Dee Fostar è chiamato a risolvere un caso di omicidi seriali che coinvolge un dottore pazzo, interpretato dallo stesso Greggio, e un motel oscuro gestito da un ex criminale psicopatico, Antonio Motel, con una madre ancor più disturbante. Sembra una trama che si perde nei meandri del nonsense, ma è proprio questa sua natura che lo rende unico, nel suo essere completamente folle e senza inibizioni.
L’idea di Greggio di unire l’amore per le parodie ai suoi spunti comici, tipici della sua lunga carriera televisiva, funziona a tratti. Certo, la qualità recitativa è discutibile, e molti attori sembrano essere lì più per il loro nome che per un reale impegno nel progetto. Ma chi si aspetta un film di qualità, non sa che cosa aspettarsi da Il silenzio dei Prosciutti. Qui si ride proprio del ridicolo, ed è difficile non apprezzare una commedia che prende in giro i thriller psicologici più celebri con un misto di battute semplicistiche e situazioni al limite del grottesco.
Un altro punto che rende questo film un piccolo cult è la presenza di cameo da parte di registi iconici come Mel Brooks, Joe Dante, John Carpenter e John Landis, che si divertono nell’offrire il loro contributo a una pellicola che probabilmente non verrà ricordata per le sue qualità artistiche, ma per la sua audacia nell’essere trash. E, per gli appassionati del genere, questo è l’aspetto che fa la differenza.
L’irriverenza del film si trasforma anche in un gioco linguistico: il titolo originale, The Silence of the Hams, è un’evidente parodia di The Silence of the Lambs (Il silenzio degli innocenti), ma il termine “prosciutti” non è solo una battuta sul cibo, bensì un riferimento al gergo cinematografico per descrivere attori che non brillano di talento. Il tutto rende Il silenzio dei Prosciutti una pellicola che si guarda con il sorriso sulle labbra e con la consapevolezza di essere di fronte a un film che non si prende mai troppo sul serio.
Certo, la critica lo ha stroncato, e probabilmente ha ragione. La sceneggiatura è caotica, i personaggi sono poco sviluppati e le battute spesso sfiorano il grottesco, ma è proprio questo che fa del film un oggetto di culto per gli amanti del trash. Perché il trash è anche una forma di amore: è l’amore per il cinema che non ha paura di essere ridicolo, di prendersi in giro, di esagerare per il puro piacere della risata. In un panorama cinematografico dove ogni film sembra voler essere un capolavoro, Il silenzio dei Prosciutti si erge come una gloriosa eccezione, un’opera che non si preoccupa di apparire sofisticata, ma che lascia spazio alla spensieratezza del non-sense.
A trent’anni dalla sua uscita, il film ha raggiunto lo status di cult movie, un piccolo gioiello per chi ama immergersi nel trash puro, senza pretese e con un irresistibile gusto per l’assurdo. Se il trash è arte, allora Il silenzio dei Prosciutti è una delle sue espressioni più divertenti e indimenticabili.