C’era una volta un capolavoro letterario, e c’era una volta un film epico che ha scolpito la storia del cinema. Poi arriva il 2024 e Netflix decide di affrontare l’ardua impresa di riportare in vita “Il Gattopardo” in formato seriale. Il risultato? Un kolossal visivamente sontuoso, ma con qualche ingranaggio fuori posto.
Il “Gattopardo” di Netflix, diretto da Tom Shankland con la collaborazione di Laura Luchetti e Giuseppe Capotondi, nasce come una serie italo-inglese tratta dall’omonimo romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Distribuita sulla piattaforma a partire dal 5 marzo 2025, rappresenta il secondo adattamento dell’opera dopo l’indimenticabile film di Luchino Visconti del 1963.
Dopo oltre sessant’anni dal capolavoro di Visconti e quasi settanta dalla pubblicazione del romanzo, questa nuova versione cerca di offrire una rilettura moderna del classico, puntando su un’estetica raffinata e su un focus narrativo leggermente spostato. Il principe Fabrizio di Salina, interpretato da Kim Rossi Stuart, mantiene la sua figura maestosa e malinconica, mentre la serie decide di approfondire maggiormente il punto di vista di Concetta, sua figlia, interpretata da Benedetta Porcaroli. Se nel romanzo e nel film del ‘63 il suo ruolo era marginale, qui diventa un personaggio centrale, simbolo di un’aristocrazia in declino ma non priva di consapevolezza.
Il romanzo, pubblicato nel 1958, racconta la decadenza dell’aristocrazia siciliana nell’Ottocento e la celebre frase di Tancredi, “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”, sintetizza il tema centrale: il potere si trasforma, ma non scompare. Visconti rese questa storia immortale grazie a un’estetica sontuosa e a un cast memorabile, con Burt Lancaster, Alain Delon e Claudia Cardinale. Il suo film rimane un punto di riferimento assoluto per la sua capacità di tradurre il senso di decadenza e cambiamento storico in un’esperienza cinematografica unica.
La serie Netflix, tuttavia, vuole distinguersi. Con un budget imponente e un cast giovane, introduce alcune scelte che modificano significativamente la percezione della storia. Per esempio, il celebre vestito da ballo di Angelica, bianco nel film di Visconti, qui diventa rosso, enfatizzando la passionalità del personaggio interpretato da Deva Cassel. Anche il finale segna una svolta: se nelle versioni precedenti Concetta restava sola e amareggiata, qui si assiste a una riconciliazione con Angelica, in un messaggio più moderno e conciliatorio.
Visivamente, la serie è un vero gioiello. Girata tra Palermo, Siracusa, Catania e Roma, riproduce fedelmente il fascino decadente della Sicilia ottocentesca. Le scenografie di Dimitri Capuani e i costumi di Carlo Poggioli ed Edoardo Russo trasportano lo spettatore in un mondo di sfarzo morente, mentre la colonna sonora di Paolo Buonvino amplifica il senso di malinconia e grandezza perduta. Ma tutto questo è sufficiente a rendere la serie davvero memorabile?
Ed è qui che sorgono i primi problemi. Il tentativo di modernizzare “Il Gattopardo” si scontra con il desiderio di restare fedeli all’opera originale, generando una narrazione che appare a tratti indecisa. La regia di Tom Shankland è solida, ma non riesce a catturare la stessa intensità emotiva che Visconti aveva infuso nel suo film. Manca una vera anima, quella scintilla che avrebbe potuto trasformare la serie in un’opera indimenticabile.
Il cast offre interpretazioni altalenanti. Kim Rossi Stuart conferisce al Principe di Salina una certa maestosità, ma senza quella vena di ironia e malinconia che aveva reso Burt Lancaster iconico nel ruolo. Deva Cassel è affascinante nei panni di Angelica, ma non possiede la stessa magnetica carnalità di Claudia Cardinale. E poi c’è Saul Nanni, che eredita il ruolo di Tancredi da Alain Delon, ma il confronto è impietoso: il suo fascino appare più impalpabile che carismatico, rendendo il personaggio meno incisivo di quanto dovrebbe essere.
Uno degli aspetti più interessanti della serie è il tentativo di ribilanciare la narrazione, dando maggiore spazio a Concetta e al conflitto tra vecchia e nuova aristocrazia. Il Risorgimento rimane un’eco sullo sfondo, mentre il cuore della storia si concentra sugli amori impossibili e sulle lotte di potere interne. Tuttavia, proprio questo cambio di prospettiva rende il racconto più intimo, ma anche meno epico rispetto al passato.
“Il Gattopardo” di Netflix è un’opera che incanta visivamente ma che fatica a lasciare un segno indelebile. Pur tentando di dare nuova linfa a una storia immortale, il risultato è un compromesso che non riesce a trasmettere né la portata politica e sociale del romanzo né l’intensità tragica della sua trasposizione cinematografica. Gli amori, i conflitti e le ambizioni ci sono, ma restano sulla superficie di un mare che avrebbe potuto essere molto più profondo. Se siete fan delle grandi produzioni in costume e volete immergervi nel fascino della Sicilia ottocentesca, questa serie potrebbe valere la visione. Ma se cercate il cuore pulsante della storia originale, forse è meglio tornare alle pagine del romanzo o riscoprire il capolavoro di Visconti.
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