Emulando il ritardo di 25 anni con cui è uscito in Italia, anche io mi accingo a scrivere una recensione di “Laputa – Castello nel cielo“, film di Miyazaki con ritardo rispetto all’uscita nelle sale. Partiamo dal disegno dei personaggi che a mio avviso mantiene lo stesso aspetto che ho visto in Howl, nella Città incantata e Arriety. Il mondo che si proietta nella pellicola è sempre un mondo di sogno e di incanto ma non manca l’invito a riflettere su alcuni mali che affliggono la società. In questo caso il tutto si incentra sull’uso della tecnologia e sul suo duplice aspetto positivo/negativo.
Se usata bene la tecnologia può offrire molto, nel caso contrario può risultare, invece, distruttiva. Il film si ispira a Laputa fantastica isola presente nel terzo viaggio di Gulliver e ricordato anche dai protagonisti principali, Sheeta e Pazu. Sheeta è una ragazzina orfana che si ritrova strappata dal suo luogo di origine e che sarà braccata costantemente dall’esercito, dai servizi segreti e dai pirati. Pazu è un ometto che lavora in miniera e che sogna di poter un giorno scoprire Laputa. Il suo sogno potrà divenire realtà grazie a quella fanciulla che dal cielo gli cadde letteralmente fra le braccia. Pazu e Sheeta, conoscendosi, scopriranno di avere in comune non solo le loro origini, ossia di essere entrambi orfani, ma anche e soprattutto di avere un legame con Laputa. Pensando un po’ alla storia dei due ragazzi mi sono ricordata di qualcosa di simile, già visto in passato…
Questo grazie al suggerimento di un mio amico sceneggiatore. Mi sono incuriosita e sono andata a cercare informazioni. Ho scoperto che il concept originale, ma non accreditato del “Mistero della pietra azzurra” è proprio di Miyazaki. A metà degli anni ’70, infatti, Miyazaki stava lavorando su Fushigi no Umi no Nadia (The secret of Blue Water / Nadia of the Mysterious Sea). Miyazaki stava lavorando per una compagnia di animazione, la Toho e una delle storie era intitolata “Around the World in 80 days by Sea”. Successivamente Miyazaki farà confluire alcuni aspetti di questa storia in “Conan, the Boy of the Future”, altri aspetti invece li troveremo proprio in “Laputa: Castle in the Sky” del 1986. Nonostante la sua vena malinconica, credo che Il castello del cielo sia un lungometraggio che merita di essere visto perché capace di riportare alla memoria il fatto che le piccole cose possono essere le più belle e che la via della felicità non si trova nei tesori più belli o nel potere, ma negli amici e nella quotidianità delle esperienze che la vita sa offrire.