“Coloni versibus incomptis ludunt risuque soluto,oraque corticibus sumunt horrenda cavatis”, (i contadini fanno festa con versi grossolani e sghignazzate, prendono maschere repellenti, fatte di cortecce cave),
” Gli antichi agricoltori del Lazio, dopo aver riposto il grano, davano ristoro, nei giorno di festa, al corpo e all’animo che aveva sostenuto le fatiche con la speranza di vederne il termine. Insieme con i compagni di lavoro, i figli e le mogli fedeli, solevano placare Tellure (dea della terra, protettrice della fecondità, il cui culto era antichissimo), con un maiale silvano, con latte e con fiori e vino. L’usanza produsse la licenza fescennina (fescennina licentia) che partorì rustici sarcasmi a versi alternati. Finchè si limitò a scherzi piacevoli, la libertà del fescennino fu ben accolta nelle ricorrenze annuali, ma quando gli scherzi divennero crudeli e iniziarono a trascendere in lividi attacchi personali, penetrando, truculenti e impuniti, nelle case oneste, non furono più tollerati”.
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