Oggi ci immergiamo nel delizioso mondo del garum, un condimento che, per gli antichi Romani, era l’equivalente del nostro oro liquido. Questa antica leccornia, realizzato con carne e interiora di pesce messe sotto sale, era così pregiato e ricercato da raggiungere prezzi astronomici. Eppure, nonostante il costo elevato, era raccomandato per ogni tipo di piatto, riflettendo quanto fosse apprezzato nella cucina romana.
Per i Romani, specialmente quelli benestanti, la cena rappresentava il pasto più importante della giornata. I banchetti erano eventi sontuosi, che duravano fino a tarda notte, e i piatti serviti erano una vera festa per il palato: carne, pesce, formaggio e frutta si alternavano in un susseguirsi di prelibatezze. In questo contesto, il garum si rivelava un ingrediente imprescindibile, capace di arricchire quasi ogni pietanza.
Dal V secolo a.C., e in particolare durante l’epoca imperiale, i Romani svilupparono una vera passione per la cucina a base di pesce e per le salse ottenute da diverse varietà di pesce macerato. Apicio, il celebre autore del “De re coquinaria”, ci offre un affascinante spaccato su come il garum fosse utilizzato: lo cita in almeno venti piatti, descrivendo ricette che variavano dalla semplicità di ingredienti bolliti nel vino—come uva passa, pepe, levistico, origano, cipolla, garum e olio, versati sul pesce arrostito o lessato—fino a salse più complesse. Queste ultime includevano aceto, vino, garum e olio, arricchiti con pepe, levistico, ruta, pinoli tritati e miele.
Il garum non era solo un condimento ricercato ma anche un prodotto che Plinio il Vecchio lodava nel suo “Naturalis Historia”. Lo definiva un “liquor exquisitus“ e sosteneva che il miglior garum fosse quello prodotto con sgombri. Nella cucina dell’epoca, un piatto tipico prevedeva pesce cotto e tritato finemente, insaporito con pepe, ruta, garum e poco olio. Il composto veniva poi cosparso di ortica marina e cotto a vapore, con l’ortica che rimaneva in superficie senza mescolarsi.
Non solo il garum era un ingrediente gastronomico di primo piano, ma era anche utilizzato per scopi medicinali. Diverse fonti antiche menzionano il suo impiego per trattare ulcere, dissenteria, morsi di cani e malanni delle orecchie, dimostrando la sua versatilità anche al di fuori della cucina.
Ma come si preparava questa prelibatezza?
Marziale, il poeta e critico gastronomico romano, ci offre una ricetta dettagliata. Secondo lui, bisognava utilizzare pesci grassi come sardine e sgombri, ai quali si aggiungevano, in proporzione di un terzo, interiora di pesci vari. Si preparava una vasca di medie dimensioni, ben impermeabilizzata, con un fondo di erbe aromatiche come aneto, coriandolo, finocchio, sedano, menta, pepe, zafferano e origano. Sopra questo strato, si disponevano interiora e pesci, con quelli più grossi tagliati a pezzi. Si aggiungeva uno strato di sale alto due dita e si ripeteva l’operazione fino a riempire la vasca. Dopo sette giorni di riposo e qualche giorno di mescolamento, il liquido risultante era il garum, denso e pronto per la conservazione a lungo termine.
Nonostante il garum avesse origini probabilmente fenicie o greche, fu a Roma che la produzione assunse una scala industriale. Gli stabilimenti specializzati, noti come cetariae, erano dedicati alla realizzazione di conserve di pesce e salse. Le conserve, simili al baccalà o alle sardine sotto sale odierne, e le salse, con il garum come prodotto di punta, erano preparate in questi stabilimenti per soddisfare la domanda di un mercato goloso e sofisticato. Così, il garum non era solo un semplice condimento, ma un vero e proprio simbolo di lusso e raffinatezza culinaria nell’antica Roma. Il suo fascino e la sua importanza ci offrono uno sguardo affascinante su quanto fosse ricca e variegata la vita gastronomica di quei tempi.
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