Il 25 gennaio 1985 segna l’uscita di un piccolo capolavoro del cinema americano: Fandango. Scritto e diretto da Kevin Reynolds, il film è un mix unico di commedia, malinconia e simbolismo, ambientato negli anni ’70 e profondamente radicato nello spirito di una generazione. Anche se non è un titolo che viene citato spesso tra i grandi classici, chi lo conosce sa che si tratta di un’esperienza cinematografica indimenticabile.
La storia inizia nel 1971, durante i giorni di consegna dei diplomi all’Università di Austin, Texas. Il Vietnam incombe come un’ombra sul futuro di Kenneth e Gardner, due amici che ricevono le lettere di arruolamento proprio mentre si preparano a salutare la vita universitaria. Gardner, interpretato da un giovane e magnetico Kevin Costner, convince il gruppo a intraprendere un viaggio improvvisato verso il confine con il Messico. È l’ultima occasione per celebrare la giovinezza prima che il mondo adulto li divori. Con loro ci sono anche Dorman, Phil e Lester, quest’ultimo una sorta di spettatore silenzioso che trascorre la maggior parte del tempo a dormire.
Il viaggio in Cadillac, che inizialmente sembra una semplice fuga, si trasforma ben presto in un’esperienza surreale. Tra imprevisti e incontri assurdi, i ragazzi affrontano situazioni che mescolano umorismo, tensione e riflessione. Ad esempio, quando finiscono senza benzina nel bel mezzo della prateria, decidono che farsi trainare da un treno sia una buona idea. Ovviamente, non lo è: la carrozzeria dell’auto viene strappata via, lasciandoli a piedi.
Uno degli episodi più iconici è il lancio col paracadute di Phil, un nerd insicuro interpretato da Judd Nelson. Convinto dai suoi amici a provare questa esperienza, si ritrova con uno zaino che, invece del paracadute, contiene solo panni da lavare. La scena è un perfetto esempio dello spirito del film: tensione, ironia e una buona dose di follia. Phil riesce a salvarsi usando il paracadute di riserva, guadagnandosi così il rispetto del gruppo. È un momento di redenzione che lo eleva da semplice figura comica a membro degno della “confraternita”.
Il culmine del viaggio arriva quando il gruppo raggiunge il Gran Canyon e disseppellisce “Dom”. Per tutta la durata del film, il misterioso “Dom” era stato evocato come un simbolo enigmatico, quasi mitologico. La rivelazione, però, è sorprendente nella sua semplicità: Dom è una bottiglia di champagne Dom Pérignon, nascosta anni prima durante un’altra scorribanda giovanile. Quel brindisi, fatto davanti all’immensità del canyon, è un momento struggente. Non è solo una celebrazione della giovinezza, ma anche un addio a quel periodo irripetibile della vita.
La parte finale del film sposta il tono verso una malinconica dolcezza. Gardner organizza il matrimonio tra Kenneth e Debbie, ex fidanzata di Gardner stesso. È un gesto che sottolinea il passaggio del testimone, l’accettazione di un nuovo capitolo per tutti loro. La cerimonia è un evento improvvisato, con una banda musicale locale e gli abitanti di un villaggio coinvolti nei preparativi. Gardner balla un fandango d’addio con Debbie, un momento che sancisce la fine del loro passato insieme.
Le musiche di Pat Metheny, che accompagnano questa danza finale, amplificano il senso di malinconia e bellezza che permea tutto il film. Gardner, sempre un passo avanti agli altri, sparisce verso il Messico, lasciando gli amici e lo spettatore con un senso di perdita, ma anche con la consapevolezza che la vita deve andare avanti.
Fandango non è solo un road movie, ma una vera e propria celebrazione della giovinezza, con tutte le sue contraddizioni, follie e paure. È un film che riesce a far ridere e riflettere nello stesso momento, offrendo sequenze indimenticabili come la notte passata sul set abbandonato de Il gigante o la battaglia simbolica nel cimitero. E poi c’è la guerra del Vietnam, che incombe sullo sfondo come un memento mori, un richiamo costante alla serietà del mondo che aspetta i protagonisti appena oltre il confine della loro spensieratezza.
A distanza di quarant’anni, Fandango rimane un gioiello dimenticato, uno di quei film che ti sorprende con la sua capacità di toccare corde profonde. Nonostante il suo tono inizialmente leggero, emerge come una riflessione intensa sulla fine dell’innocenza e sull’inevitabile transizione verso l’età adulta. Kevin Reynolds e Kevin Costner, qui alle loro prime armi, hanno dato vita a un’opera unica che merita di essere riscoperta, soprattutto da chi cerca un cinema capace di raccontare l’essenza della giovinezza con autenticità e poesia.
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