Come appassionata di anime giapponesi e grande fan del mondo di Fairy Tail, non posso che iniziare questa recensione dicendo che mi aspettavo molto da Fairy Tail: 100 Years Quest. Dopo la conclusione della saga originale, che ci ha regalato momenti epici, emozionanti e intensi, il ritorno dei nostri amati protagonisti prometteva nuove avventure e sfide ancora più grandi. Ma, a quanto pare, non sempre le aspettative sono all’altezza della realtà.
La trama di Fairy Tail: 100 Years Quest si sviluppa un anno dopo la vittoria su Zeref e Acnologia, quando Natsu, Lucy, Gray, Erza, Wendy, Happy e Charle si imbarcano in una missione leggendaria, la “100 Years Quest”, rimasta incompiuta per un secolo. La missione li porta nel continente di Giltina, dove devono affrontare cinque draghi divini dotati di un potere immenso, simile a quello di Acnologia. Se da un lato il concetto di dover sconfiggere dei draghi divini suona intrigante e promettente, la realizzazione lascia molto a desiderare.Innanzitutto, il fatto che queste minacce mai citate prima, i draghi divini, appaiano proprio ora – dopo tutta la saga di Acnologia e Zeref – suona come una forzatura piuttosto evidente. Per quanto possano essere temibili, questi draghi sembrano quasi troppo convenienti per la trama. La premessa iniziale è intrigante, ma il fatto che tutto accada proprio nel momento in cui la gilda è pronta a intraprendere la missione fa sembrare che la sceneggiatura si stia adattando a eventi già scritti piuttosto che evolversi organicamente.A complicare ulteriormente la situazione, c’è l’introduzione di Touka, un nuovo personaggio legato a Faris, una maga malvagia che manipola le persone e cerca di distruggere le fonti di magia potente. Sebbene questo subplot aggiunga un po’ di profondità, diventa presto chiaro che si tratta di una situazione un po’ troppo convenzionale: nuovi cattivi, nuove alleanze, e il solito “salviamo il mondo” che diventa prevedibile. Inoltre, il ritorno dei draghi divini, e soprattutto del dio drago Ignia, sembra quasi un tentativo di ricreare una dinamica simile a quella di Acnologia, ma senza il carisma del villain originale. Le motivazioni dei nemici sono di una banalità disarmante: “Sono forti e cattivi e voglio distruggere il mondo”, senza che dietro ci sia un vero sviluppo psicologico o narrativo che li renda interessanti. Qui si percepisce un calo significativo rispetto alla costruzione dei nemici nella saga precedente.
Un altro aspetto che mi ha lasciato perplessa è l’intensa presenza del fan service. Certo, Fairy Tail è sempre stato famoso per qualche momento di imbarazzo e scene un po’ “provocatorie”, ma qui si esagera. I combattimenti, che dovrebbero essere momenti di alta tensione, vengono spesso interrotti da scene di fan service che, onestamente, sembrano fuori luogo. Per uno shonen che pretende di non essere un ecchi, questo tipo di contenuti mina l’atmosfera e fa perdere di intensità anche le battaglie più spettacolari.
Il “Nakama Power”, quel potere dell’amicizia che tanto ha fatto storcere il naso in passato, è più che mai presente in questo sequel. Il problema non è tanto il concetto in sé, che rimane uno dei punti di forza di Fairy Tail, ma il fatto che diventa una soluzione fin troppo facile a tutti i problemi. Ogni volta che i protagonisti sono in difficoltà, basta un legame tra amici o una spinta emotiva per far scattare un power-up improvviso. La mancanza di tensione nei combattimenti è palese, perché sappiamo già che Fairy Tail vincerà. Il plot armor, che protegge i protagonisti in modo quasi ridicolo, toglie ogni incertezza e suspence.
Quando si parla di Fairy Tail, una delle caratteristiche che più colpisce è senza dubbio lo stile grafico. Qui, purtroppo, la transizione da Hiro Mashima ad Atsuo Ueda si fa sentire. I disegni iniziali sembrano un po’ grezzi e privi della fluidità che ci si aspetta da un manga del genere. Sebbene nel corso del tempo ci sia un miglioramento, il confronto con il lavoro precedente di Mashima è inevitabile. Se avete amato la qualità visiva di Fairy Tail, questo cambiamento potrebbe risultare un po’ deludente, anche se non è un difetto che rovina completamente l’esperienza.
In definitiva, Fairy Tail: 100 Years Quest non è un brutto manga, ma non riesce a raggiungere i livelli della saga originale. La trama, purtroppo, appare troppo forzata e i combattimenti non riescono a mantenere la tensione che li rendeva così coinvolgenti nel primo Fairy Tail. Il fan service e la predominanza del “Nakama Power” rendono difficile apprezzare appieno le sfide che i protagonisti devono affrontare, facendo sembrare tutto troppo facile. Il manga è pieno di buchi narrativi e scelte narrative che, purtroppo, non riescono a entusiasmare come avrebbero dovuto. Se siete fan irriducibili di Fairy Tail, probabilmente continuerete a seguirlo, ma se cercate una storia che riesca a ripetere la magia della serie originale, Fairy Tail: 100 Years Quest rischia di deludervi. Per chi non ha apprezzato la saga di Alvarez, questo sequel potrebbe sembrare una pallida imitazione di ciò che ci ha entusiasmato in passato. In ogni caso, Fairy Tail rimarrà sempre un pilastro degli shonen, ma 100 Years Quest non ha l’intensità e la magia che ci ha fatto amare la gilda di Fairy Tail in primo luogo.
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