Electric President – Electric President

Ci sono alcuni suoni che li riconosci subito, che capisci da dove vengono, che al primo ascolto sai localizzarli immediatamente. Il signor Morr aveva forse in mente una cosa del genere, quando creò la sua etichetta, da alcuni anni punto di riferimento per tutto il panorama elettronico indipendente. Produttore di artisti affermati del genere come i Lali Puna, i Mùm, ma anche mecenate che dà una chance a chi merita, a chi è all’esordio, come gli Electric President.


Merita davvero questo disco, opera di due ragazzi cresciuti a Jacksonville, Florida, che si sviluppa tra chitarre e laptop all’odore di carillon. Malinconico quel tanto che basta per piacere a Herr Thomas, che ha captato un fiocco di neve tedesca all’ombra delle palme statunitensi. Ben Cooper e Alex Kane non hanno più di 44 anni in due, e la loro creazione non è proprio quello che si definisce un disco originale, ma “Electric President” è un album molto gradevole, che scorre benissimo in quel filone folk-tronico di cui sembrerebbe un sunto perfetto, per quanto concerne le sonorità.

 

Il disco è molto accessibile, già fin dall’inizio, dalla soffice “Good Morning, Hypocrite”, che cresce in un climax di cui non sono troppo convinti neanche i due americanini, o dalla vitalità pop della successiva “Insomnia”, perfetta conciliazione tra Hood e Hymie’s Basement. Da cui si può già intuire come il disco sia, nella sua timidezza, una prova comunque ambiziosa, poiché i richiami a nomi degni dell’effige di guru come i succitati non sono certo passabili sottosilenzio, e un, anche se minimo, paragone pare inevitabile. Con ciò comunque i due di Jacksonville non sfigurano, seppure il loro stile non sia ancora personale, hanno dalla loro un’ottima verve melodica.  L’incedere del disco, nostalgico e invernale, trova il suo apice in “Grand Machine No.14”, bignamino e sunto di anni di lezioni di indietronica, il picco pop di quel “papparapappapà” canticchiato con leggerezza, da portare nei pensieri come canzone del giorno. Nessuna metafora o complicazione, solamente l’emozione che si propaga tra chitarra ed elettronichine.

 

Più vicina alla chitarra triste e romantica di Micah P. Hinson che allo spleen digitale dei Lali Puna, la successiva “Hum” è la canzone da spiaggia degli Electric President. Forse le bellezze femminili di Miami non impazziranno per il fascino della sei corde acustica, ma la canzone è breve e intensa. Di questo si tratta, di canzoni, piccole e senza pretese, suonate sempre con lo stesso armamentario e con sonorità non molto distanti tra loro. È per questo che verso la fine, una volta capito il gioco dei due indieboy della Florida, sembrano assomigliarsi un po’ tutte. Non che sia un tratto negativo, intendiamoci: restano brani toccanti e piacevolmente leggeri. Ma a un certo punto si chiede qualcosa in più… che inaspettatamente arriva nella parte finale dell’album, dove gli Electric President acuiscono le emozioni musicali del loro repertorio, diventando aggressivi con “Some Crab About The Future” o mostrandosi depressi, ma con voglia di rivincita, in “Metal Fingers”.

 

Buona la prima, per i giovanotti, perché dal loro primo lavoro emerge una sincerità e un’onestà musicale che mette di buonumore. Un album che viene apprezzato come un padre può apprezzare il lavoro di un figlio, che cresce con le idee chiare, superando i suoi momenti malinconici con forza di volontà statunitense. Forse il signor Thomas Morr si è sentito un po’ padre, o forse gli è semplicemente spuntato un sorriso luminoso sul viso, ad ascoltare questo dischetto di chitarrine e voci implumi.

Tracklist

  1. Good Morning, Hypocrite
  2. Insomnia
  3. Ten Thousand Lines
  4. Grand Machine no.14
  5. Hum
  6. Snow on Dead Neighborhoods
  7. Some Crab About The Future
  8. Metal Fingers
  9. We Were Never Built To Last
  10. Farewell

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