Negli anni dal 1939 al 1944 l’impiegato Düring lavora per gli uffici del circondario di Fallingbostel, nella Brughiera di Luneburgo. Incatenato alla rupe di Prometeo delle sue mansioni, e costretto a dividere la propria vita tra le atmosfere naziste e una segreta rivolta dell’intelligenza, coltiva idee di fuga dalla famiglia – partecipe anch’essa dell’ipnosi collettiva – e dalla macchina dello Stato. Il «vedente» Düring, che deve suo malgrado «partecipare al gioco della mosca cieca», ottiene dal Landrat l’incarico di allestire un archivio storico per il circondario. È così che egli può tornare alla sua passione per i dati e le cifre, a cavallo di una bicicletta verso gli archivi di paesi e chiese, raggiungendo in questo modo la distanza apogea dal pianeta concentrazionario.
Un giorno chiederà al superiore di poter andare ad Amburgo, ufficialmente per scopi lavorativi, dove visita una libreria antiquaria e la galleria d’arte. Durante il viaggio di ritorno soggiorna presso una locanda e scopre, passeggiando per la foresta, una capanna – che servirà poi da luogo d’incontro con la sua giovane amante Käthe, ovvero la “lupa”. È il rifugio di quel disertore francese del periodo napoleonico, le cui vicende egli aveva meticolosamente seguito nelle sue ricerche archivistiche, al quale sente di essere simile e di cui ammira la riuscita evasione dalla società.
Ma il centro del romanzo non è nella catena degli eventi. L’evento della narrazione è qui una teoria della conoscenza, come delineata da Schmidt in Calcoli, che fa della parola lo strumento del recupero dei percetti, in un gigantesco archivio di materiali. La tecnica impiegata è quella Rastertechnik (tecnica del reticolo) che registra il tempo – negata la continuità della memoria – in una collazione di snapshots, le brevi istantanee dalla lingua metaforica, caustica ed espressionista. I fotogrammi, il cui inizio è sempre marcato dal corsivo a focalizzare l’immagine, si susseguono a centinaia, spesso senza causalità diretta ma riordinando il tempo, come è stato scritto, in una superiore unità spaziale. In questo mosaico ontologico Düring ha la facies di Arno Schmidt, che presta al suo personaggio molti tratti della propria personalità: il culto delle scienze esatte e l’ateismo, l’acribia filologica, la critica del potere e quel pessimismo antropologico che vede nella Storia la determinazione del male, in una teodicea negativa rappresentata dal Leviatano, il principio che tutto divora e annichilisce. Attraverso la sua prosa intermittente Schmidt ha perseguito, con accanimento senza pari, un realismo profondo: ottenere dall’amplificazione dell’Io poetico la filigrana del mondo detenuta dal soggetto.
Arno Schmidt (1914-1979): l’esecutore testamentario dell’Illuminismo e dell’Espressionismo tedeschi, il grande «taglialemma & architetto della prosa», autore delle piú vaste avventure formali nella Germania del dopoguerra. Dalla vita di un Fauno è apparso nel 1953.