Il termine “Cosplay” è una contrazione delle parole inglesi costum (costume) e play (interpretare/recitare) che descrivono accuratamente l’hobby (come lo ha definito la campionessa in carica Nadia Baiardi) di divertirsi e trasgredire vestendosi come il proprio personaggio preferito. La principale differenza tra il Cosplay e il vestirsi in costume praticato negli Stati Uniti e in Europa sta nel fatto che in Giappone è una vera e propria cultura giovanile che produce un enorme business economico, mentre l’altro è un puro fenomeno estetico interpretativo. Credo che fondamentalmente il Cosplay sia un fenomeno di partecipazione sociale che nasce tra i giovani ed in cui convergono varie tendenze come i tribalismo, lo street style e il fandom: infatti i Cosplayers sono dei veri e propri fans che si appropriano di alcuni tratti peculiari dei propri idoli per ridisegnare sè stessi con lo scopo di ottenere una certa riconoscibilità sociale in una specie di morphing estetico e psicologico.
Inoltre penso che questa pratica sia un modo per i ragazzi di condividere interessi, esperienze, opinioni e di concorrere a far parte di una grande comunità attraverso cui lo scambio sociale rafforza l’identità del singolo mediante una collettività ben definita: i fan club del Cosplay sono delle vere e proprie interfacce tra le grande organizzazioni produttive, un fan può diventare un opinion maker e attraverso le molteplici reti relazionali può diffondere modi e stili di vita che influenzano il target giovanile. Intervistando alcuni cosplayers è emersa soprattutto la passione che questi investono nel ritrovare oggetti, accessori, vestiti da indossare per assomigliare ai propri eroi: credo che tutto ciò scaturisca dal desiderio di evadere dalla propria realtà quotidiana; in quanto attraverso questo travestimento i ragazzi possono esprimere( liberandosi di remore e timidezze) pienamente alcuni lati della propria personalità che spesso coincidono con alcune caratteristiche del proprio personaggio preferito.
Infatti i ragazzi tengono a ribadire che non andrebbero mai in giro vestiti in quel modo fra la gente,poichè diventerebbe una partica paradossale che perderebbe il senso di evasione e la ricerca del sogno. C’è da dire però che esistono delle differenze tra i Cosplayers:per esempio le gothic lolita vestono tutti i giorni una moda dark e prendono seriamente in considerazione questo tipo di raffigurazione della realtà che si tramuta in un vero e proprio stile di vita;da questo fenomeno si creano così, non solo nuove tendenze di stile ma anche di linguaggio e pratiche socio-culturali. Infine posso dire che mi è rimasto solo un dubbio a cui non ho trovato risposta: è giusto che i manga, i cartoni e l’intero mondo dell’industria culturale influenzino il mondo dei ragazzi attraverso evocazioni irrealistiche che tendono a spostare l’attenzione su una dimensione “altra” in cui i problemi e i disagi vengono mascherati, oppure dovrebbero prendere spunti di riflessione realistici sul disagio giovanile e sulle percezioni emotive dei ragazzi per aprire una finestra su ciò che accade loro intorno?
Mi chiedo questo perché ho trovato molto interessante ed educativo una testimonianza di Marko Djurdjevic (character designer della Marvel) durante una manifestazione. L’artista rappresenta per noi giovani un esempio reale di una persona che ha realizzato i propri sogni con sacrificio e determinazione credendo nelle proprie capacità ed idee, conducendo una vita normale e semplice non certo come i supereroi o gli idoli manga dei fumetti. Un esempio concreto e reale di uno stile di vita da prendere in considerazione “da imitare e interpretare seguendo la filosofia del cosplay”.