Il Cosplay, abbreviazione di “costume play”, è una pratica che ha acquisito una popolarità sempre crescente negli ultimi decenni. Nata come un’attività dedicata agli appassionati di anime, fumetti, videogiochi e cultura pop, oggi il cosplay si è esteso a un fenomeno globale che coinvolge persone di ogni età e provenienza. Sebbene il cosplay abbia trovato un suo spazio all’interno di una nicchia culturale ben definita, non è esente da critiche e pregiudizi da parte di chi lo considera un’attività infantile o fuori dalle convenzioni sociali. Per comprendere meglio queste critiche, è necessario esaminare il fenomeno da diverse prospettive psicologiche, antropologiche e sociologiche.
Dal punto di vista psicologico, il cosplay rappresenta una forma di espressione dell’identità personale, una via per esplorare e manifestare aspetti del sé che altrimenti potrebbero rimanere nascosti. In molti casi, il cosplay è una pratica di “gioco di ruolo” che permette agli individui di indossare i panni di personaggi che ammirano, prendendo su di sé caratteristiche o qualità che nella vita quotidiana potrebbero essere inaccessibili o inespresse. Si tratta di una forma di evasione che può servire anche come meccanismo di coping per chi affronta difficoltà emotive o psicologiche. Tuttavia, la società tende a giudicare negativamente comportamenti che si discostano dalle norme convenzionali. La teoria dell’identità sociale di Tajfel e Turner suggerisce che gli individui tendono a categorizzarsi in gruppi sociali e che chi si dedica a pratiche non conformi può essere etichettato come “outsider”, suscitando reazioni di disapprovazione. In particolare, il cosplay degli adulti può essere visto come immaturo, poiché la nostra cultura associa il travestimento principalmente al mondo infantile o a eventi occasionali come il carnevale, piuttosto che a una pratica costante e matura.
L’aspetto antropologico del cosplay rivela un altro livello di comprensione. Il travestimento, nella storia dell’umanità, ha sempre avuto un significato profondo, legato a rituali religiosi, cerimonie e riti di passaggio. In molte culture tradizionali, l’uso di maschere e costumi era (e in alcuni casi è ancora) una pratica che consentiva agli individui di trasformarsi simbolicamente, assumendo nuovi ruoli e identità. Il cosplay, in un certo senso, si inserisce in questa tradizione di trasformazione, ma nella società moderna, dove la razionalizzazione e la specializzazione hanno ridotto il valore simbolico di queste pratiche, è spesso percepito come un’attività frivola e senza una funzione “utile”. L’idea di “persona”, proposta da Carl Jung, suggerisce che il cosplay possa essere una manifestazione delle “ombre” interiori degli individui, ossia quei tratti del sé che non vengono generalmente espressi nella vita quotidiana. Tuttavia, la società tende a reprimere queste espressioni, vedendole come incompatibili con i ruoli sociali tradizionali.
Sul piano sociologico, il cosplay può essere visto come una forma di devianza, secondo la teoria di Howard Becker. La devianza non è un comportamento intrinsecamente negativo, ma è definita dalla reazione della società a tali comportamenti. Se il cosplay è visto come “strano” o “infantile”, è perché una parte della società lo etichetta come tale, non perché esso sia di per sé problematico. Inoltre, il cosplay sfida le norme di genere e di ruolo sociale, poiché molti cosplayer scelgono di interpretare personaggi di genere opposto o ruoli che non corrispondono al loro status sociale. Questo sfida alle convenzioni può generare disapprovazione tra coloro che percepiscono tali comportamenti come una minaccia all’ordine stabilito.
Tuttavia, la disapprovazione psicologica che circonda il cosplay non si limita alla critica di chi vi si dedica, ma si estende anche agli effetti che questa attività può avere su chi la pratica. Il cosplay, come molte subculture, è uno spazio di incontro dove le dinamiche interpersonali e sociali si amplificano.
Il cosplay può essere definito come una pratica che coinvolge la creazione e l’indossamento di costumi ispirati a personaggi di cultura popolare, come quelli di anime, videogiochi o film. Tradizionalmente, il cosplay ha rappresentato uno spazio sicuro per gli “emarginati” sociali, in particolare per i nerd e gli appassionati di cultura pop, che in altri contesti possono sentirsi esclusi o marginalizzati. Originariamente, il cosplay fungeva da rifugio per coloro che, a causa di preferenze o caratteristiche particolari, non riuscivano a integrarsi nelle norme sociali dominanti. La comunità cosplay offriva, e in alcuni casi continua a offrire, uno spazio in cui l’identità individuale e le diversità potessero essere espresse senza paura di giudizio. Se inizialmente il cosplay era un luogo di inclusività, oggi si è trasformato in una subcultura più ampia, dove nuove forze sociali ed economiche – come i fotografi professionisti, i social media e le dinamiche di notorietà online – hanno cominciato a esercitare una crescente influenza. La commercializzazione del cosplay ha portato, purtroppo, alla comparsa di comportamenti psicologicamente dannosi e manipolativi, che hanno intensificato le dinamiche di abuso.
Le “Menti Deboli” e il Narcisismo
Una delle problematiche psicologiche più evidenti che emergono all’interno della comunità cosplay è l’esistenza di individui con tratti psicologici distruttivi che sfruttano la vulnerabilità emotiva degli altri. Questi individui, definiti come “menti deboli”, non corrispondono al concetto di debolezza mentale o psicologica nel senso tradizionale. Piuttosto, si tratta di individui che, insoddisfatti della propria vita reale, cercano di alimentare il proprio ego e il proprio potere all’interno di questa subcultura. Persone con tratti narcisistici, manipolatori, bugiardi patologici, e in generale coloro che cercano di esercitare il controllo sugli altri per mascherare le proprie insoddisfazioni, trovano nel cosplay un terreno fertile per le proprie frustrazioni.
Questi soggetti, in molti casi, utilizzano le dinamiche di fiducia, amicizia e apertura che caratterizzano il cosplay per manipolare emotivamente altri membri della comunità. Ciò si traduce in abusi psicologici, in cui le vittime sono sfruttate per il proprio vantaggio personale, diventando pedine nelle mani di chi cerca di consolidare la propria superiorità percepita.
La Creazione di un Ambiente Tossico
Il caso di studio riportato dalla scrittrice e cosplayer Alex L. Mainardi, che ha vissuto in prima persona l’evoluzione del cosplay, offre uno spunto per comprendere come le dinamiche tossiche possano svilupparsi all’interno di una subcultura originariamente inclusiva. L’autrice descrive come, in passato, il cosplay fosse un rifugio per coloro che cercavano di evadere dalle difficoltà quotidiane della vita, come nel suo caso, dove la disabilità rendeva la realtà quotidiana particolarmente difficile da affrontare. La comunità cosplay, con la sua inclusività, rappresentava un luogo dove la disabilità e altre limitazioni non erano un ostacolo, ma semplicemente una caratteristica personale.
Con l’ingresso di nuovi attori, come fotografi e influencer sociali, il cosplay ha visto l’emergere di un cambiamento nelle sue dinamiche interne. Non è più solo un atto di passione, ma un mezzo per raggiungere notorietà e fama. Questo ha aperto la porta a coloro che vedono nel cosplay non un’espressione artistica, ma un’opportunità per ottenere visibilità e potere. Le vittime, in particolare quelle più vulnerabili emotivamente, sono spesso attirate da queste dinamiche, non riconoscendo immediatamente il danno psicologico che può derivarne.
Abilismo e Abuso Psicologico
Un aspetto cruciale delle dinamiche di abuso psicologico all’interno del cosplay riguarda il fenomeno dell’abilismo. In un contesto in cui il fisico e l’apparenza possono diventare un fattore di discriminazione, le persone con disabilità o altre limitazioni fisiche possono essere particolarmente vulnerabili. L’autrice descrive come, a causa della propria disabilità, sia stata manipolata emotivamente e finanziariamente da soggetti che si sono approfittati della sua insoddisfazione e della sua necessità di appartenere a un gruppo. Questo tipo di abuso psicologico può essere devastante, poiché coinvolge la manipolazione delle emozioni e dei sentimenti di chi si sente emarginato o inadeguato.
Resilienza e Rinascita
Il vero valore del cosplay, tuttavia, non risiede solo nelle sue potenzialità come strumento di abuso, ma anche nella capacità delle sue vittime di superare tali esperienze. La resilienza delle persone che sono state vittime di manipolazioni è un aspetto fondamentale del processo di guarigione. La liberazione dalle dinamiche di abuso consente a chi ha subito danni di ricostruire la propria identità e, in alcuni casi, di ritrovare una nuova forza interiore. Come afferma l’autrice, “dalle ceneri un nuovo inizio sorgerà”, sottolineando come la capacità di lasciar andare il passato e di rinascere da esperienze traumatiche possa portare a una rinnovata forza interiore.
Il cosplay, come molte subculture, offre uno spazio di espressione e appartenenza, ma è anche un contesto dove le dinamiche di potere, abuso e manipolazione possono emergere in modo amplificato. Le vulnerabilità psicologiche individuali sono facilmente sfruttabili in un ambiente dove la fiducia e l’apertura sono valori prevalenti. È fondamentale, quindi, sviluppare una maggiore consapevolezza delle implicazioni psicologiche del cosplay, non solo per proteggere i partecipanti da possibili abusi, ma anche per garantire che il cosplay continui a essere un luogo sicuro e inclusivo per tutti. Solo così potrà evolversi come una forma autentica di espressione, lontano dalle manipolazioni emotive e dalle dinamiche di abuso psicologico.
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