Proprio il 21 febbraio del 1981 in Giappone, corrisponde, secondo molti, la fatidica data in cui far risalire la nascita di un fenomeno, diffusosi poi durante il decennio successivo anche in occidente, e conosciuto con il nome di Cosplay. In quei giorni infatti, in occasione dell’ uscita del primo lungometraggio della serie Gundam, migliaia di giapponesi si radunarono di fronte ai cinema di alcune città nipponiche travestite come i personaggi della serie cinematografica. Questa vasta ed inattesa mobilitazione popolare destò da subito un grande interesse nei media, che iniziarono a parlare della possibile nascita e diffusione di un nuovo fenomeno sociale in Giappone: “giocare a Gundam”.
Il termine cosplay, coniato per definire questo nuovo fenomeno sociale sorto durante gli anni ‘80, rappresenta una contrazione delle parole inglesi costume (costume ) e play (giocare/interpretare/recitare). Si tratta quindi di un’ accurata e divertente interpretazione dei propri personaggi preferiti, inscenata non solo nell’ ambito di manifestazioni pubbliche come i convegni su anime e manga, ma anche in forma privata con amici e conoscenti appassionati di cosplay. Cosa che avviene settimanalmente in un quartiere di Tokyo, Harajuku, dove i migliori cosplayers giapponesi si danno appuntamento, ogni fine settimana, per mostrare a loro stessi e ai curiosi presenti le proprie creazioni. Creazione e materializzazione della fantasia, dell’ intangibile; è questa la principale differenza tra il cosplay e la pratica del vestirsi in costume diffusa negli Stati Uniti ed in Europa
Non si tratta quindi, come ad esempio per i fanatici della saga di “Star Trek”, di una reinterpretazione di attori e personaggi in carne ed ossa, bensì della trasposizione di personaggi fantastici nel mondo reale e della possibilità di toccare con mano qualcosa che prima era possibile solo con l’ immaginazione. Al di la di tali differenze, il potere mediatico e la capillare diffusione delle opere cinematografiche made in USA, hanno portato anche in Giappone alla nascita di cosplayers ispirati a celebri opere occidentali, quali: “Il Signore degli Anelli” o “Harry Potter”. Oltre al termine cosplay, oggi giorno universalmente riconosciuto ed utilizzato per definire il fenomeno nato in Giappone nei primi anni ’80, si parla anche a volte di cross-players. Derivante da cross-dressing e cosplayer, il termine viene usato per definire coloro che inscenano personaggi del sesso opposto al loro, anche se non è universalmente accettato.
Oltre alla minuziosa riproposizione della fisionomia dei personaggi inscenati, attraverso la creazione di abiti che esigono un grande dispendio in termini di tempo e denaro, un altro elemento cardine del cosplay consiste nel rappresentarne anche le caratteristiche comportamentali. Si tratta di vere e proprie scenette, tendenti a riproporre fedelmente gesti, modi di fare dei personaggi o addirittura determinati passaggi di film, fumetti o serie da cui sono tratti. Tale pratica, che resta comunque marginale in Giappone, ha raggiunto una discreta diffusione in altri paesi in cui si pratica il cosplay. È possibile infatti assistere durante gare o raduni, a complesse reinterpretazioni corredate anche da colonne sonore ed accessori che ripropongono fedelmente ambientazioni e caratteristiche delle fonti originali di riferimento. Il cosplay si presenta quindi come una complessa e variegata mescolanza di più categorie: fandom, tribalismo, street style, performance ecc….
Tant’è che a tal proposito, Jenkins parla dello sviluppo di una vera e propria “cultura della convergenza”. Tra le varie categorie definite in precedenza, il fandom (letteralmente regno degli appassionati) rappresenta sicuramente un elemento cardine della cultura cosplay. La parola fan, dal latino fanaticus, ha avuto per molto tempo una connotazione negativa, definendo un falso adoratore, privo di qualsivoglia distanza critica nonché dotato di una mentalità staccata dalla realtà. Questo perché, come sosteneva lo stesso Jenkins, le preferenze dei fan erano considerate anomale e minacciose da chi voleva mantenere intatti gli standard culturali dominanti. Il fan era quindi considerato privo del buon gusto borghese, nonché tendente a violare le gerarchie culturali prestabilite.
A tal proposito Bourdieu, citato anche da Jenkins, sosteneva:
“i fan, incuranti del copyright, raccolgono materiali della cultura di massa da rielaborare ad uso personale come basi per le loro creazioni culturali ed interazioni sociali, attuando un raggruppamento di gusti che il gusto borghese dominante vorrebbe separati”.
Nelle vesti di veri e propri “bracconieri della cultura di massa”, i fan si tramutano da fruitori passivi in attivi produttori e manipolatori di senso, giungendo così a rendere ancor più labili i confini tra fatti e finzioni. Trasformando l’ esperienza in complessa cultura partecipativa, costruiscono la loro identità socio-culturale tramite prestiti ed influssi dell’ immaginario di massa, riuscendo anche a dar voce a determinate preoccupazioni cui i media non prestano troppa attenzione. Sempre a proposito dei fan, Fiske parla dello sviluppo di una vera e propria “economia culturale ombra”, caratterizzata da una propria produzione e distribuzione e tendente a condividere alcune caratteristiche con l’industria culturale.
Secondo Fiske infatti, i prodotti creati dai fan darebbero un’ identità non solo a loro stessi, ma anche alla comunità di cui fanno parte. Al di la di quanto detto fin’ora risulta innegabile l’importanza rivestita oggigiorno dai fan club, i quali sarebbero in grado di svolgere un’ importantissima funzione di interfaccia tra organizzazioni produttive, star ed audiance, riuscendo a creare canali e relazioni. Tale mission e’ oggi semplificata e resa più agevole dalla diffusione dei nuovi media che forniscono ai fan club molte più possibilità di fare rete, nonché di tramutarsi in veri e propri opinion maker. Data questa breve ma sufficientemente approfondita analisi, si può facilmente comprendere come il cosplay abbia a che fare con una cultura proveniente dal basso, ma soprattutto dalla passione. Oltretutto, a quasi trent’ anni dalla sua nascita, sembra ormai fuorviante definire quale semplice emulazione di manga, anime o videogame, quello che oggi si può definire a tutti gli effetti un fenomeno socio-culturale globale in forte ascesa.
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