Cos’è la sindrome NIMBY?

L’ acronimo Not In My Back Yard, “Non nel mio cortile” (NIMBY), denota un atteggiamento che si ritrova nelle proteste contro opere di interesse pubblico e attività che hanno, o si teme possano avere, effetti negativi sul territorio in cui verranno realizzate, come ad esempio grandi vie di comunicazione, sviluppi insediativi o industriali, inceneritori e centrali termiche, termovalorizzatori, discariche, depositi di sostanze pericolose, centrali nucleari e simili. L’atteggiamento consiste nel riconoscere come necessari, o comunque possibili, gli oggetti del contendere, ma, contemporaneamente, nel dichiararli indesiderabili per via delle fastidiose controindicazioni degli stessi sull’ambiente locale e sulla salute delle persone, un atteggiamento che porta in sé un paradosso evidente.

Nel 2004 nasce il Nimby Forum dopo aver rilevato che le contestazioni legate alla costruzione di nuovi impianti/infrastrutture si facevano sempre più intense e diffuse, ritardando la realizzazione e, a volte, bloccando definitivamente il progetto. I promotori hanno così dato vita a un Forum/Osservatorio per comprendere e quantificare la portata dei movimenti di opposizione. Questo perché hanno ritenuto che in situazioni di questo tipo diventa essenziale avviare, fin dalla fase di pianificazione territoriale e di progettazione preliminare, una politica del consenso intrinseca al progetto stesso, che ne faciliti l’iter burocratico di approvazione e ne renda possibile la successiva fase costruttiva.

Secondo i dati dell’ultima edizione del Nimby Forum tenutasi a Torino il 5 ottobre del 2006, nel nostro Paese sono 171 le infrastrutture e gli impianti oggetto di contestazioni; queste ultime sono state riportate da 4.020 articoli di stampa, analizzati nel corso della seconda edizione del forum.Nel mondo si assiste anche a diverse varianti di questo fenomeno: gli anglosassoni, ad esempio, per indicare la degenerazione acritica del Nimby, utilizzano l’acronimo BANANA, ovvero “Build Absolutely Nothing Anywhere Near Anything” (non costruire assolutamente nulla vicino a qualsiasi cosa).Alcuni (spesso i sostenitori della realizzazione di un’opera) arrivano a chiamare questo atteggiamento “sindrome”, per squalificare in questo modo ogni opposizione alla realizzazione dell’opera, comprese le critiche che mettono in discussione i vari aspetti del progetto e della procedura di attuazione.

Altri (spesso i detrattori della realizzazione di un’opera), mettono in discussione l’intero processo che ha portato a decidere la realizzazione del progetto, e sostengono che l’accusa di essere NIMBY serve solo ad impedire una discussione serena ed approfondita sull’argomento. La dottoressa Ketty Tabakov, che si occupa proprio di affari istituzionali e rapporti con il territorio per la Edison, durante il suo intervento ha tenuto più volte a sottolineare come l’ente promotore dell’opera e i suoi esperti, insieme con le istituzioni, ce la mettano tutta affinché i cittadini interessati vengano informati correttamente e completamente, anche su base scientifica, rispetto a quello che sorgerà appunto “nel loro giardino”.

E quindi è indispensabile – sempre secondo la Tabakov – il dialogo franco e trasparente con gli stakeholder sul territorio, la capacità di informare con linguaggio semplice e divulgativo progetti molto complessi, il coraggio di esserci, di “metterci la faccia, essere proattivi e non giocare di rimessa”. “Ma come possiamo misurare l’efficacia della nostra comunicazione sul territorio?” In risposta a questa domanda la Tabakov sostiene che ci siano tre parametri molto concreti: la realizzazione dell’opera, una cerimonia di inaugurazione festosa e partecipata e la rielezione del Sindaco che si è preso la responsabilità di approvare e supportare il progetto.

Ma è davvero così nella realtà dei fatti? E’ poi vero che queste opere sono costruite nel totale rispetto dell’ambiente e della salute? E se anche fosse, io cittadino, posso essere correttamente informato? Proprio ieri su un quotidiano di Roma in prima pagina si legge: “Malagrotta senza pace. Gli ambientalisti non ci stanno, i lavori del gassificatore vanno avanti.” A Malagrotta, nell’ambito della zona di lavoro della discarica sono venuti alla luce numerosi reperti archeologici e con loro sono iniziati gli esposti, la denuncia pubblica del WWF, dei consiglieri regionali di Rifondazione comunista e di Ambiente Lavoro per bloccare la realizzazione dell’opera. La protesta scaturita da questa rilevazione è solo l’ultimo dei tentativi dei cittadini e degli ambientalisti di opporsi alla discarica in quest’area.

 

Nonostante le richieste dei cittadini, appoggiate dai pareri negativi delle commissioni che hanno valutato gli impatti ambientali, e le promesse delle istituzioni, i lavori non si sono mai fermati. Anche in seguito ai ritrovamenti, il progetto ha proseguito per la sua strada senza che fossero prese in considerazione le proteste. Né il dialogo franco e trasparente né la capacità di informare si sono fatti vivi, i lavori continuano senza sosta andando anche contro il Comune di Roma (Dipartimento X) che nelle valutazioni sostiene che la localizzazione scelta per l’impianto non è adatta in quanto a poca distanza sorge la raffineria di Roma e il forno inceneritore Ama. Il rischio di possibili incidenti, dunque, non può essere escluso a priori. Per non parlare poi dell’inquinamento del Rio Galera contaminato, a quanto sembra, da sostanze nocive derivate dai lavori della discarica.

Si possono fare tante chiacchiere e gettare fumo negli occhi dei cittadini, ma non si può negare l’evidenza. L’inceneritore sta prendendo forma giorno dopo giorno, da mesi si chiede chiarezza, anche per via istituzionale, ma invano. Finché questa sarà la realtà delle cose non basta organizzare inaugurazioni festose o sperare in rielezioni di sindaci per fronteggiare una sindrome che non può far altro che dilagare in un progresso che tarda ad essere sviluppo sostenibile in ogni suo aspetto.

di ARIANNA BONAZZI

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