I giochi di ruolo godono di crescente popolarità, sia in Italia che nel mondo, dove i titoli pubblicati sono ormai più di trecento; il capostipite dei giochi di ruolo, cosi come li conosciamo può essere considerato “Dungeons & Dragons”, pubblicato per la prima volta nel 1974. In Italia, dove vengono giocati da quasi centomila persone, ci sono almeno una quarantina di titoli a disposizione, scritti o tradotti nella nostra lingua.
Ma quanti, tra i non-giocatori, sanno cos’è davvero un gioco di ruolo? In questo articolo cerchiamo di rispondere agli interrogativi e ai dubbi correnti tra chi si approccia al gioco per la prima volta o, semplicemente, per chiunque sia curioso e voglia saperne di più.
Che cos’è un gioco di ruolo? È un gioco in cui i partecipanti fingono di essere i personaggi di una storia che essi stessi inventano mossa dopo mossa, sotto la guida di un Master (o “Narratore”). Quest’ultimo espone una situazione, mentre gli altri giocatori raccontano a turno che cosa farebbero se fossero davvero un gruppo di avventurieri che deve liberare la principessa prigioniera del drago, o uno sceriffo e i suoi aiutanti a caccia dei contrabbandieri di whisky nel selvaggio West, o i ribelli di Guerre Stellari che cercano di mettere in salvo i piani della più potente astronave della galassia, oppure coniglietti e maialini di un cartone animato in cerca delle loro leccornie preferite…
“Magic – L’Adunanza“, e gli altri giochi simili, sono giochi di ruolo? No, sono giochi di carte collezionabili. In comune con i giochi di ruolo hanno spesso un’ambientazione fantastica, ma nulla di più. Non si creano storie: si gioca per vincere, come a briscola o a scala quaranta. Il mazzo, però, lo costruisce il giocatore, scegliendo tra le ormai migliaia di carte che vengono vendute in bustine assortite, come le tradizionali figurine: e molti si divertono anche a collezionarle, cercando di completare la raccolta una serie dopo l’altra.
I libri-gioco sono giochi di ruolo? No. Sono racconti in cui ogni tanto si chiede al lettore di compiere una scelta: la storia prosegue in modo diverso, su pagine differenti a seconda di ciò che decide il lettore-protagonista. Al di là delle somiglianze, i libri-gioco si leggono da soli, e scegliendo fra due o più alternative prestabilite; il gioco di ruolo, invece, si fa in gruppo, e ciascuno sceglie liberamente le mosse e le azioni del suo personaggio.
In Italia hanno giocato persino nelle scuole, vero? Sì. Diverse scuole elementari e medie, sia inferiori che superiori, hanno utilizzato il gioco di ruolo nell’ambito dei loro programmi didattici. “Ludendo docere”, cioè “insegnare giocando”, è un motto antico: e il gioco di ruolo è assai adatto perché insegna a raccontare, a coordinare la propria creatività con quella degli altri. L’uso dei dadi abitua poi a stimare le probabilità di uscita di certi numeri o combinazioni, e dunque introduce a una certa dimestichezza con il calcolo delle probabilità. Molti Narratori amano inserire nelle loro avventure enigmi o problemi da risolvere, stimolando così le capacità logiche dei loro giocatori. E non scordiamone l’utilità per l’apprendimento delle lingue: gli appassionati, infatti, comprano spesso i giochi di ruolo stranieri prima che vengano tradotti in italiano: si esercitano così nella lettura dell’inglese, e talvolta del francese, del tedesco, dello spagnolo. Come ogni buon romanzo o film, infine, un buon gioco di ruolo di ambientazione storica o letteraria, e ce ne sono diversi, può insegnare facilmente e allegramente le più svariate nozioni e conoscenze.
Insomma, il gioco di ruolo si rivolge soprattutto ai ragazzini? No. Ci sono giocatori di tutte le età: bambini che non hanno ancora imparato a leggere, adolescenti, adulti, anziani. Comunque i Narratori hanno, di solito, non meno di 10 anni.
È vero che il gioco di ruolo è nato per scopi terapeutici? No. Il primo gioco di ruolo, “Dungeons & Dragons”, è stato pubblicato nel 1974 negli USA dalla TSR (Tactical Studies Rules): inventato da Gary Gygax e Dave Arneson, appassionati di giochi di simulazione, si rivolgeva a giocatori come loro e aveva come unico fine il divertimento. Alcune tecniche terapeutiche, come lo psicodramma, hanno una certa somiglianza con il gioco di ruolo. Ma in uno psicodramma vengono messi in scena problemi e conflitti della vita reale, che riguardano l’individuo e i suoi rapporti con gli altri; in un gioco di ruolo vengono interpretati personaggi di fantasia inseriti in un universo narrativo.
Qualche tempo fa, sui giornali, s’è scatenata una strana polemica sui giochi di ruolo e i loro presunti effetti negativi. Chi attacca i giochi di ruolo, e con quali ragioni? Di articoli, negli anni, ne sono stati pubblicati moltissimi, in genere assai favorevoli. Lo stesso vale per servizi e talk show in radio e tv. Con qualche eccezione, naturalmente. Le accuse vengono da gruppi fondamentalisti americani, gli stessi che attaccano cartoni animati come “Alice nel Paese delle Meraviglie” o film per ragazzi come “Casper” tacciandoli di violenza, e che per lo stesso motivo intendono far proibire in tv cartoni animati come “I Puffi” e “Bugs Bunny”. I più attivi sono stati i membri del NCTV (National Coalition on Television Violence) e del disciolto BADD (Bothered About Dungeons And Dragons).
Ma hanno qualche fondamento, queste accuse? No davvero. Non siamo noi a dirlo: lo documentano numerose ricerche e indagini di istituti autorevolissimi e indipendenti.
Quali altre accuse vengono mosse ai giochi di ruolo? La più grave, se avesse qualche minimo fondamento, sarebbe quella di istigazione al suicidio, sollevata “a effetto” su qualche giornale, l’anno scorso, quando si tolse la vita un ragazzo che era anche master di “Dungeons & Dragons”. Ma è un’accusa nettamente smentita da tutte le indagini sul campo. L’American Association of Suicidology di Denver, Colorado, e il Center for Disease Control di Atlanta, Georgia, dopo un approfondito studio dei casi di suicidio tra adolescenti, scrivono che non è stata evidenziata alcuna correlazione tra il suicidio nei teen-ager e i giochi di ruolo. Identiche considerazioni si ritrovano in calce ad analoghe indagini svolte dalla Association of Gifted and Creative Children di Dublin (California), dall’Albert Einstein College of Medicine (New York), dall’Health and Welfare di Ottawa, Canada. E il fascicolo inverno ‘94 dello “Skeptical Inquirer” conclude: La percentuale di suicidi tra i 15-24enni giocatori di ruolo è addirittura più bassa che in qualsiasi altro gruppo.
C’è una spiegazione a questa minore propensione al suicidio tra chi fa giochi di ruolo? Certo. Uno dei fattori determinanti per valutare la propensione al suicidio di un bambino o ragazzo, spiegano i ricercatori, è il fatto che sia o no una persona solitaria. E i giochi di ruolo spingono a stare con gli altri, a entrare in relazione con loro; l’esatto contrario della solitudine e assenza di comunicazione col mondo che possono indurre al suicidio. La partecipazione a un’attività di gruppo quale il gioco di ruolo abbassa drasticamente il potenziale autodistruttivo. Garantisce inoltre una cerchia di amici in grado di percepire comportamenti insoliti e di intervenire in caso di crisi. Uno studio degli americani Lisa A. DeRenard e Linda Mannik Kline ha infine dimostrato che chi pratica i giochi di ruolo tende ad avere una più alta considerazione di sé.
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