Recentemente, OpenAI ha lanciato una funzione innovativa su ChatGPT che ha catturato rapidamente l’attenzione degli utenti di tutto il mondo, dando vita a un’ondata di meme virali. Questo nuovo strumento permette di generare immagini nello stile iconico dello Studio Ghibli, il leggendario studio d’animazione giapponese fondato da Hayao Miyazaki, celebre per opere indimenticabili come Il mio vicino Totoro, La principessa Mononoke e Il castello errante di Howl. Immaginare di vedersi trasformati in personaggi di questi film, grazie a un semplice comando, ha suscitato un entusiasmo contagioso. Personaggi come Elon Musk o Donald Trump sono stati reinterpretati in versione Ghibli, alimentando ulteriormente il trend. Un esempio lampante di questa moda è stato l’aggiornamento dell’immagine del profilo di Sam Altman, CEO di OpenAI, che ha deciso di unirsi al fenomeno, adattando la sua foto a questo nuovo stile.
Tuttavia, se da un lato l’entusiasmo è stato palpabile, dall’altro questa novità ha sollevato numerose preoccupazioni legali, in particolare riguardo ai diritti d’autore dello Studio Ghibli. Non è la prima volta che OpenAI si trova al centro di polemiche simili. L’azienda, infatti, ha già affrontato controversie legali, tra cui una causa con il New York Times, nonché azioni legali da parte di artisti e musicisti che accusano l’azienda di utilizzare contenuti protetti da copyright senza il necessario consenso. La questione legale sollevata dalla funzione di generazione di immagini potrebbe quindi allargarsi a un dibattito più ampio riguardo al confine tra l’innovazione tecnologica e il rispetto per il lavoro creativo.
Per i fan dello Studio Ghibli, la possibilità di generare immagini nello stile dei loro film preferiti è una vera e propria rivoluzione. L’idea di potersi immaginare su un treno che attraversa il mare, come in La città incantata, o di camminare tra i cieli di Laputa, è stata fino a ieri un’esclusiva per pochi, riservata agli illustratori esperti. Ma oggi, grazie alla funzione di generazione automatica di immagini offerta da ChatGPT, chiunque può trasformare una propria foto in un’immagine in stile Ghibli in pochi secondi, con il semplice caricamento della propria immagine e una richiesta come “trasformami in un personaggio Ghibli”.
Il risultato di questa trasformazione è, senza dubbio, sorprendente. Le immagini mostrano volti rielaborati con grazia pittorica, occhi grandi e luminosi, atmosfere sognanti, e una vegetazione lussureggiante che evoca le scenografie fiabesche di film come Il mio vicino Totoro o Il castello errante di Howl. Ma non è solo lo stile Ghibli a essere emulato: la stessa funzione consente di riprodurre stili visivi tratti da altre opere iconiche come One Piece, Neon Genesis Evangelion, I Simpson o il tratto distintivo di Moebius e Dylan Dog. Questo segna l’inizio di una nuova era per la democratizzazione della creazione visiva, ma con essa giungono anche domande cruciali: a quale prezzo?
Sebbene il fascino di potersi vedere come personaggi di un film amato sia indiscutibile, resta un interrogativo fondamentale. Ogni volta che un’intelligenza artificiale riproduce lo stile di un artista, che si tratti di Miyazaki o Moebius, emerge la questione della proprietà di uno stile. È giusto riprodurre l’identità artistica che altri hanno costruito nel corso di decenni, per di più senza il giusto riconoscimento? La linea tra ispirazione e appropriazione culturale si fa sempre più sfocata. Sebbene l’AI non copi direttamente un’opera, ma elabori milioni di immagini raccolte durante il suo processo di addestramento, il tratto distintivo e l’atmosfera delle opere originali sono facilmente riconoscibili. Ghibli, ad esempio, non è solo una questione di colori e linee, ma di una profondità culturale e umana che rende unica ogni creazione. Non si tratta solo di uno stile, ma di un’anima visiva difficile da replicare in modo autentico.
Le reazioni tra gli artisti sono contrastanti. Da un lato, la tecnologia può essere vista come uno strumento utile per stimolare la creatività, ideale per realizzare bozze, ispirazioni, prototipi rapidi o anche per presentare idee visive. Dall’altro, la sensazione che una macchina possa replicare in pochi secondi uno stile che ha richiesto anni di perfezionamento da parte di un artista, non può che suscitare disagio. Gli artisti, che vivono della loro identità visiva, si sentono legittimamente preoccupati dal fatto che il loro lavoro venga riprodotto senza alcun tipo di riconoscimento. Quando, inoltre, l’AI imita anche autori iconici come Mark Bagley o Jean Giraud (Moebius), la sensazione di “scippo” creativo si fa ancor più palpabile.
Nonostante le preoccupazioni, l’AI non va demonizzata. Le sue potenzialità creative sono enormi. Vedere se stessi come personaggi Ghibli può essere un’esperienza emozionante e stimolante, che risveglia l’immaginazione e può avvicinare nuovi appassionati all’arte visiva. Tuttavia, questa nuova capacità solleva una riflessione collettiva. Chi crea questi strumenti deve garantire maggiore trasparenza sui dati utilizzati per l’addestramento delle AI. Gli utenti, dal canto loro, devono essere educati a un uso consapevole, comprendendo che dietro ogni stile c’è un processo creativo lungo e complesso. Forse sarebbe il caso di sviluppare modelli di compensazione per gli autori i cui stili vengono replicati, così da garantirne il giusto riconoscimento.
Le immagini generate da ChatGPT hanno suscitato l’immaginazione di milioni di utenti, ma anche generato reazioni contrastanti. La Casa Bianca, ad esempio, ha contribuito al dibattito pubblicando un’immagine in stile Ghibli di una presunta criminale, sollevando discussioni sull’uso dell’AI in contesti sensibili. Inizialmente, il generatore di immagini doveva essere accessibile gratuitamente a tutti, ma il successo inaspettato ha portato OpenAI a limitare l’accesso alla versione Plus, riservata agli utenti a pagamento. Con l’uso del modello GPT-4o, le immagini sono diventate ancora più sofisticate rispetto a quelle generate in passato, offrendo risultati complessi anche a partire da comandi sintetici e diretti.
La questione legale ed etica rimane però aperta. Hayao Miyazaki, fondatore dello Studio Ghibli, ha già espresso la sua avversione all’uso dell’AI in ambito artistico, definendo la tecnologia un “insulto alla vita stessa”. Altri artisti, come Jayd “Chira” Ait-Kaci, hanno appoggiato la critica di Miyazaki, sottolineando l’importanza della sua posizione, considerando il suo lungo disappunto nei confronti della tecnologia. Nel frattempo, OpenAI sta cercando di rispondere alle preoccupazioni, migliorando il proprio modello per impedire l’uso non autorizzato degli stili di artisti viventi, consentendo invece la generazione di immagini ispirate a stili generali. L’azienda ha anche promesso di aggiornare costantemente le politiche in base ai feedback ricevuti.
Con il dibattito legale che si fa sempre più intenso, OpenAI sta cercando di influenzare le decisioni politiche, proponendo l’inclusione dell’uso di contenuti protetti da copyright nel contesto del fair use. Questo consentirebbe alle aziende che sviluppano AI di utilizzare liberamente materiale protetto, come avviene già con i motori di ricerca o i meme online. Tuttavia, questa discussione è appena iniziata e promette di essere lunga e complessa.
Il fascino di vedersi disegnati come personaggi di Principessa Mononoke o Ponyo sulla scogliera è innegabile. È un sogno a occhi aperti. Ma come ogni sogno, c’è un risveglio necessario: quello della consapevolezza.L’arte è fatta di mani, di errori, di intuizioni. È fatta di voce interiore, di stile maturato con fatica. Le intelligenze artificiali possono simulare tutto questo, ma non sostituirlo. Possono evocare emozioni, ma non generarle da un vissuto. Possono incantarci – e lo fanno, magnificamente – ma siamo noi a dover decidere quanto e quando lasciarci incantare.Perciò, giocate con ChatGPT. Trasformatevi in anime, in Simpson, in creazioni alla Moebius. Ma fatelo sapendo che dietro ogni linea, ogni sfumatura, ogni sguardo incantato che vedete, c’è l’eco lontana di chi, in silenzio, ha disegnato sogni con le proprie mani. E quelli, nessuna intelligenza artificiale potrà mai davvero emularli.
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