Dopo il grande successo di “Lime”, Joachim Tilloca è tornato con il suo nuovo lavoro, Che fine ha fatto Enola Gaynor?, un’opera che promette di travolgere il lettore con la stessa intensità e freschezza del suo esordio. Un libro che si fa leggere tutto d’un fiato, grazie a una narrazione frizzante, irriverente e ricca di colpi di scena. Enola Gaynor, protagonista del volume, è un’artista di successo dal carattere disinibito e sfrontato, pronta per l’ennesima esposizione delle sue opere in galleria. Ma, proprio durante l’attesa per le firme delle stampe, scompare nel nulla. A questo punto entra in scena una rete di amici di infanzia, tutti impegnati nella sua ricerca. Il viaggio li porterà attraverso una città piena di misteri e zone oscure, fino a scoprire la verità su dove si trova Enola: reclusa, e in fin di vita, in un ospedale.
Il mistero si infittisce quando la domanda che aleggia sopra tutta la trama è: chi ha rapito Enola? Quando la donna viene finalmente trovata, è in un letto d’ospedale, attaccata a un respiratore, e la sua lenta ripresa diventa il cuore pulsante di una storia intricata che mescola passato, memorie dolorose, collezionisti di farfalle e, inevitabilmente, un persistente profumo di vaniglia. L’intero caso finisce nelle mani di Jack Plant, il nostro antieroe già conosciuto in Lime, un personaggio scomodo e un po’ squinternato che, con il suo stile irriverente, si fa strada tra i misteri della trama.
L’opera è un turbinio di riferimenti al cinema, alla letteratura e alla cultura popolare, con omaggi a registi come Almodovar e Wenders, e a classici come Odissea. La scrittura di Tilloca è vorticosa, sempre divertente, con un umorismo che incolla il lettore alla pagina, creando una lettura che scivola via leggera ma ricca di spunti profondi. E, naturalmente, come in ogni buon thriller, la promessa di un happy end che risolve le mille domande lasciate aperte.
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